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Se alla COP26 non sarà trovato un vero accordo sul clima sarà l’apocalisse: ecco cosa ci aspetta

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) attualmente in corso di svolgimento a Glasgow, in Scozia, è considerata l’ultima chance per prendere le decisioni necessarie a scongiurare le conseguenze più drammatiche del riscaldamento globale. Ecco cosa ci aspetta se continueremo a inquinare impunemente.
A cura di Andrea Centini
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Sono anni che gli scienziati lanciano allarmi sui gravissimi rischi che stiamo correndo a causa dei cambiamenti climatici, da noi stessi innescati attraverso le emissioni di gas a effetto serra – principalmente anidride carbonica e metano – a partire dalla Rivoluzione Industriale. Da quando questi moniti si sono fatti più frequenti e urgenti, è stato fatto ben poco di concreto dai potenti della Terra per contenere l'aumento delle temperature, portandoci praticamente sull'orlo del baratro. Non è un mistero che la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) attualmente in corso di svolgimento a Glasgow, in Scozia, è considerata l'ultima chance per prendere decisioni drastiche e immediate per scongiurare le conseguenze più drammatiche del riscaldamento globale. A sottolinearlo anche il premier britannico Boris Johnson, durante il suo intervento in apertura della conferenza: “L'orologio dell'Apocalisse ticchetta sempre più forte e segna un minuto a mezzanotte”, ha chiosato il leader del Partito Conservatore. Quando scoccherà l'ora X, spiega Johnson, la nostra esistenza sul pianeta cambierà per sempre.

In base all’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il Sixth Assessment Report la cui prima parte è stata presentata dalle Nazioni Uniti (ONU) la scorsa estate, è stato dimostrato incontrovertibilmente che il riscaldamento globale è catalizzato dalle attività antropiche. In altri termini, è colpa nostra. Dunque, come affermato dal dinosauro Frankie – ideato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) – ci stiamo praticamente scavando la fossa da soli, rischiando di portare all'estinzione noi stessi e una pletora di specie animali e vegetali. Per evitare questa catastrofe l'obiettivo è messo nero su bianco da tempo: contenere l'aumento della “febbre” del pianeta entro 1,5° C rispetto all'epoca industriale, come del resto voleva il traguardo più virtuoso dell'Accordo di Parigi sul Clima del 2015 (quello meno ambizioso dei 2° C è stato rapidamente scartato dagli esperti). Per raggiungerlo è necessario conquistare la cosiddetta neutralità carbonica – equilibrio netto tra emissioni e sequestro di carbonio – nel più breve tempo possibile, sfruttando energie rinnovabili e nucleare di nuova generazione laddove disponibile. Il 2050 è il target "emissioni zero" dell'Unione Europea, degli Stati Uniti e di altre grandi realtà, mentre altri grandi Paesi inquinatori come la Cina, l'India e la Russia spostano questo traguardo tra il 2060 e il 2070, prendendosi ulteriore tempo per continuare a riempire l'atmosfera con emissioni di carbonio. Con queste premesse il rischio che “salti il banco” è concreto, e con esso la speranza di contenere l'aumento della temperatura entro il range indicato. Se ciò accadrà, le conseguenze saranno drammatiche per l'intera umanità.

Uno dei principali rischi del riscaldamento globale è lo scioglimento dei ghiacci, in particolar modo quelli dei poli. La fusione del ghiaccio polare determina l'innalzamento del livello del mare, che se continuerà con questi ritmi, entro il 2100 rischia di far sprofondare sott'acqua intere isole – soprattutto gli atolli dell'Oceano Pacifico – ma anche grandi regioni costiere (con quelle del Sud Est asiatico più a rischio) e metropoli affacciate sul mare. Rischiano anche diverse città italiane. Secondo un recente studio condotto da esperti dell'organizzazione americana Climate Central, attraverso una simulazione matematica è stato determinato che se continueremo a inquinare a questi ritmi tra 40 / 50 anni si paleserà lo scenario più catastrofico e la sparizione sott'acqua di 50 grandi metropoli; con un aumento di 3° C rispetto all'epoca preindustriale verrebbero sommerse regioni attualmente popolate da 800 milioni di persone, pari al 10 percento della popolazione umana mondiale. È un numero enorme di persone che potrebbe essere ancora superiore, se consideriamo l'aumento demografico previsto per i prossimi decenni. Per sfuggire alla scomparsa della propria terra interi popoli saranno costretti a spostarsi altrove, innescando le più grandi migrazioni di massa nella storia dell'umanità. Poiché i cambiamenti climatici determinano anche siccità estrema e frequente (che ha già avviato migrazioni da alcune aride zone dell'Africa), oltre a una significativa perdita nella produttività alimentare – basti pensare che quest'anno in Italia c'è stato un crollo produttivo di riso, miele e frutta a causa del clima “impazzito” a causa nostra -, in futuro c'è la concreta possibilità che non ci sarà più cibo a sufficienza per tutti, mentre gli oceani continuano a svuotarsi per la pesca non sostenibile, l'acqua più calda e l'acidificazione. La riduzione delle terre emerse e dei beni di prima necessità, in concomitanza con le sopracitate grandi migrazioni, rischia di scatenare vere e proprie guerre globali per le (poche) risorse rimaste e per i terreni fertili. Uno scenario apocalittico che per alcuni esperti sarebbe dietro l'angolo. Non c'è da stupirsi che si profetizzi la scomparsa della civiltà come la conosciamo oggi entro il 2050.

Ma le terre sommerse, le migrazioni di massa, la siccità estrema e la perdita di produttività dei raccolti sono solo una parte delle catastrofi che ci attendono. L'aumento delle temperature innescherà un numero sempre maggiore di conseguenze sulla salute e ondate di calore mortali, come la “cupola di calore” che ha colpito la scorsa estate in Nord America, con un picco di circa 50° C raggiunto in Canada. Mai era stata raggiunta una simile temperatura nel Paese. Le conseguenze sono state drammatiche: centinaia di morti, oltre un miliardo di animali marini cotti vivi, nidiacei lanciatisi dai nidi per non morire di shock termico e incendi catastrofici. Proprio questi ultimi saranno sempre più vasti e frequenti a causa delle temperature più elevate, che seccano la vegetazione favorendo il propagarsi delle fiamme. Secondo un recente studio internazionale guidato da scienziati dell'Università di Barcellona, entro il 2099 gli incendi sono destinati a raddoppiare nei Paesi affacciati sul Mediterraneo, una delle regioni del pianeta più colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici. Oltre ai roghi devastanti, saremo colpiti da alluvioni, uragani, trombe d'aria e altri fenomeni meteo sempre più intensi e frequenti. L'accumulo di energia nei sistemi atmosferici a causa delle temperature più elevate, infatti, rappresenta un volano per tali eventi. Il famigerato “Medicane” che ha colpito recentemente la Sicilia ne è un esempio lampante, dato che i cicloni si sviluppano tipicamente sugli oceani, ma che a causa del riscaldamento globale possono trovare terreno fertile (ovvero le condizioni ideali) anche in un mare piccolo e chiuso come il Mediterraneo.

Le temperature più alte favoriranno anche l'arrivo di vettori di malattie infettive tropicali (come alcune specie di zanzara) nelle aree precedentemente temperate, nelle quali non potevano sopravvivere proprio a causa delle condizioni inospitali. Si determinerà così il rischio di nuove pandemie come quella di COVID-19 che stiamo vivendo, legate anche dall'incessante disboscamento e allo sfruttamento della fauna selvatica, che sta pagando il prezzo più alto a causa dei cambiamenti climatici. Non a caso gli esperti sostengono che siamo entrati nella sesta estinzione di massa solo a causa delle attività umane. Nel giro di pochi decenni rischia di sparire il 40 percento degli insetti (le cui popolazioni sono crollate un po' ovunque, Italia compresa); essendo alla base della stragrande maggioranza delle catene alimentari e dell'impollinazione di molteplici piante – anche di interesse commerciale -, le conseguenze sulla biodiversità saranno semplicemente catastrofiche. Ma tra le specie più a rischio in assoluto vi sono orsi polari, foche e pinguini, i cui habitat, semplicemente, rischiano di sparire per sempre a causa dello scioglimento dei ghiacci. Senza contare gli effetti sulle migrazioni degli uccelli, sul sesso delle tartarughe marine che nascono quasi tutte femmine e su moltissime altre specie animali, che rischiano di soccombere a causa nostra. Solo i giovani hanno capito che ci stiamo avviando verso l'apocalisse, mentre i leader mondiali continuano a prendere tempo, predicando bene e razzolando molto male, come dimostra l'arrivo di 400 jet privati inquinanti alla COP26, proprio per parlare su come eliminare le emissioni di CO2.

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