Centinaia di migliaia di casi, quasi diecimila morti, ospedali pieni. Il coronavirus è ormai una pandemia presente in tutto il mondo la cui diffusione appare inevitabile. La situazione italiana, la prima ad "esplodere" in Europa, è stata solo l'apripista per altrettante situazioni simili le cui curve relative a casi e morti sono sulla stessa traiettoria di crescita. Nel giro di una o due settimane tutti i paesi d'Europa saranno nella nostra stessa situazione e dovranno confrontarsi con la bestia nera di questo coronavirus: l'assalto alle terapie intensive ormai al collasso, i turni massacranti di medici e infermieri e la diffusione incontrollata di un virus il cui rallentamento può avvenire solamente se tutti agiamo ora.
Le passeggiate, le corse, le giornate al parco, i tentativi di forzatura dei blocchi degli spostamenti. Non abbiamo ancora capito che questi atteggiamenti porteranno a conseguenze enormi che colpiranno centinaia di migliaia di persone. Non può esistere un "io" quando si parla di virus perché inevitabilmente tutte le azioni di un singolo, anche di una sola persona, si ripercuotono sull'intera comunità, sul "noi". Il SARS-CoV-2, ormai dovrebbe essere chiaro, è un virus altamente contagioso, che non ha gravi ripercussioni nella maggior parte dei casi ma che può portare il 20 percento di contagiati in terapia intensiva. È un dato enorme, perché le terapie intensive in Italia – poco più di 5.300 al momento – non sono in grado di reggere un flusso improvviso di pazienti come quello che comporta e comporterà il coronavirus se non si prendono tutti misure di contenimento.
Secondo uno studio dell'Imperial College, senza misure di contenimento non farmaceutiche, cioè le uniche che possiamo prendere in mancanza di farmaci e vaccini, il valore infettivo del virus pari a R0 2,4 – cioè una persona infetta ne contagia potenzialmente altre 2,4 – porterebbe al contagio dell'81 percento della popolazione inglese e statunitense, con 510.000 morti in Gran Bretagna e 2,2 milioni di morti negli Stati Uniti. Senza considerate tutta la coda di effetti generati da un indebolimento del sistema sanitario nazionale. La questione è semplice: i primi vaccini non arriveranno prima di 12/18 mesi e l'unica contromisura che possiamo adottare è quella di rallentare il contagio. Facendola diventare una questione di tempo e non di eventualità: dobbiamo chiederci quando prenderemo il coronavirus, non se lo prenderemo.
Cosa sono le morti evitabili
È qui che entra in gioco la nostra responsabilità sociale. Anche di chi in queste settimane si crede immune perché, per esempio, giovane e quindi facente parte di quella fascia meno colpita dalle forme più acute di Covid-19. Il problema è che proprio queste persone portano a quelle che vengono definite "morti evitabili", cioè quei decessi che avvengono perché la curva di contagiati si impenna troppo rapidamente e gli ospedali vengono intasati da pazienti in un breve lasso di tempo. In questo scenario i morti evitabili sono quelli che contraggono il virus e che potrebbero essere salvati dalla terapia intensiva, ma che non possono accedervi perché piena. Oppure i pazienti che, per altri motivi, dovrebbero accedere a cure più efficaci che però sono già occupate dai contagiati di coronavirus. Questo è il punto fondamentale: questi pazienti infetti sono la conseguenza di chi se ne frega delle regole.
Per capirlo basta guardare i dati: il coronavirus può essere contratto molto facilmente attraverso i droplet rilasciati dalla bocca di chi tossisce o starnutisce, oppure se si entra in contatto con una superficie infetta e poi ci si tocca il volto. A questo punto possono volerci fino a 6 giorni per mostrare sintomi – che possono essere anche lievi – ma in questo lasso di tempo si è comunque infetti. È qui che è fondamentale la responsabilizzazione di tutti: un giovane 30enne potrebbe contrarre il coronavirus in ufficio e poi, sicuro di non averlo e irrispettoso delle regole di queste settimane, prendere i mezzi pubblici, uscire e non rispettare le distanza di sicurezza o andare a correre. È infetto, ma non lo sa perché non mostra i sintomi, che potrebbe non mostrare mai perché lievi. Magari due linee di febbre, mezza giornata di mal di testa e respiro corto. Poi tutto torna normale. Il danno, però, nel frattempo è enorme.
Cosa succede se non segui le regole
Con le uscite incontrollate potrebbe aver trasmesso il virus a chi stava con lui in metropolitana, oppure a un'altra persona nel supermercato o un altro corridore durante quel jogging che proprio non riesce ad evitare. E a loro volta queste persone diventano infetti ignari per almeno 5 o 6 giorni, prima di poter mostrare sintomi. E in questi 5 o 6 giorni infettano altre persone. È un sistema a scalare che in pochissimi giorni porta ad un numero enorme di contagiati. E con gli infetti, arrivano i malati. Il 20 percento di queste persone hanno sintomi gravi e necessitano di cure ospedaliere. In poco tempo gli ospedali collassano, come sta succedendo ora.
È a questo punto che arrivano le morti evitabili. Chi potrebbe essere salvato dalla terapia intensiva non può accedervi perché piena, così come chi per altri motivi dovrebbe essere messo in questo reparto si vede negata la possibilità perché pieno di casi positivi di coronavirus. È una situazione drammatica che prevede un triage d'emergenza che dà priorità all'aspettativa di vita, e quindi ai pazienti più giovani, rispetto alle tempistiche di arrivo in ospedale. Cosa che non mette al riparo i giovani, visto che non si tengono in considerazione né eventuali problematiche extra coronavirus né eventuali situazioni in cui dovessero presentarsi gruppi di giovanissimi – come ad esempio una scolaresca – che avrebbero comunque la precedenza su un 30enne.
Questa situazione è generata dall'impennata della curva del contagio, ma attenzione: questa curva è composta da da persone con gravi complicazioni, ma viene causata da chi non pensa di essere malato e continua a vivere la sua vita senza seguire le regole. Chi può fare di più per evitare queste morti non necessarie non sono (solo) i medici e gli ospedali, ma anche soprattutto noi con le nostre azioni, con il rispetto delle disposizioni e lo stare a casa, con il rispettare la distanza di sicurezza e l'utilizzare il gomito quando si tossisce o starnutisce. È l'unico modo per "appiattire la curva", la più grande speranza di evitare morti inutili in questa situazione, cioè ritardare l'arrivo delle persone in ospedale evitando un'impennata improvvisa di casi. Per questo la domanda è quando e non se prenderemo il virus.
Le soluzioni: soppressione o mitigazione
Secondo lo studio dell'Imperial College, le strategie non farmaceutiche di contrasto si possono suddividere fondamentalmente in due: una di soppressione e una di mitigazione. La prima prevede la riduzione del numero di pazienti e di contagi bloccando il contatto tra umani fino a quando il virus viene eliminato o fino a quando non sarà pronto un vaccino (in questo caso non prima di 12/18 mesi). Nel secondo caso la strategia non è quella di bloccare completamente la trasmissione ma di rallentarla e dilatarla nel tempo. Nel primo scenario si parla quindi di portare l'R0 sotto l'1, nel secondo di ridurlo semplicemente. La soppressione, efficace in Cina e Corea del Sud e promettente anche in Italia, sembrerebbe funzionare nel ridurre la diffusione del virus ma porta con sé enormi ricadute economiche e sociali. La mitigazione, d'altro canto, potrebbe non mettere mai davvero al sicuro la fascia più a rischio della popolazione, che potrebbe comunque contrarre il virus.
I dati evidenziati dalla ricerca indicano anche che una situazione di flessibilità tra questi due elementi potrebbe garantire l'appiattimento della curva senza necessariamente una chiusura totale. Le varie contromisure da mettere in atto in un paese hanno d'altronde differenti impatti rispetto alla curva dei contagi. Chiudere solo scuole e università, per esempio, comporta sì un abbassamento dell'impennata ma troppo poco incisivo per risolvere la situazione ospedali. Ben più efficaci si dimostrano invece isolamento, quarantina dei casi accertati e, il più efficace di tutti, la quarantina per tutti e il mantenimento della distanza di sicurezza. In breve, quello che sta avvenendo ora in Italia è l'insieme di queste cose. Che sembra funzionare. Ma solo a patto che queste regole vengano seguite da tutti, altrimenti il virus continuerà a diffondersi.
Ma per quanto tempo? Se vogliamo far terminare questa pandemia, di certo non fino al 3 aprile. È semplicemente irrealistico pensare di tornare alla vita normale tra due settimane. Come sottolineano i ricercatori dell'Imperial College, la soppressione ha senso se mantenuta fino all'arrivo di un vaccino, quindi in questo caso per almeno altri 12/18 mesi. Ma quando i casi iniziano a diminuire, strategie come un numero maggiore di tamponi e l'utilizzo di tecnologie come app per smartphone per tenere traccia dei contatti delle persone potrebbero garantire una piccola apertura nel controllo, consentendo eventualmente di stringere nuovamente le regole appena i casi tornano ad aumentare. Ma se la soppressione non viene mantenuta, la ricaduta in termini di contagi sarebbe molto rapida e porterebbe a un'epidemia paragonabile a quella che sarebbe avvenuta se non ci fossero stati provvedimenti. Per questo è fondamentale seguire le regole e stare a casa. Rispettare le distanze di sicurezza e non cercare di fare i furbi. Per molti questa è una questione di vita e di morte, anche per chi è vicino a noi. Il momento di agire è ora.