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Covid 19

Rischio contagio da coronavirus a scuola e in ufficio: perché 1-2 metri potrebbero non bastare

Diverse ricerche hanno dimostrato che le goccioline che espelliamo quando parliamo, respiriamo o tossiamo (droplet) e gli aerosol possono viaggiare molto più di 1 o 2 metri, la distanza considerata di “sicurezza” per ridurre il rischio di contagio da coronavirus SARS-CoV-2. Per questa ragione, spiegano gli autori di un nuovo studio, il distanziamento sociale non deve essere considerato il fattore al centro delle misure di salute pubblica, a maggior ragione in luoghi come scuole e uffici.
A cura di Andrea Centini
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Da quando la pandemia di coronavirus SARS-CoV2 ha iniziato a diffondersi nel nostro Paese sono state introdotte diverse misure per spezzare la catena dei contagi, fra le quali si annoverano tre “capisaldi”: lavarsi di frequente le mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico; indossare la mascherinachirurgica o di comunità – laddove richiesto e mantenere la distanza fisica dagli altri di almeno un metro. Il distanziamento fisico o sociale che di si voglia viene applicato con criteri diversi nei vari Paesi: negli Stati Uniti, ad esempio, la distanza da rispettare è di 6 piedi, pari a 1,82 metri; nel Regno Unito si arriva a 2 metri, mentre in Italia è appunto di un metro.

La forchetta compresa tra 1 e 2 metri non è stata scelta per comodità, ma per una precisa ragione scientifica, legata cioè allo spazio coperto dal droplet (le goccioline più grandi che espelliamo quando parliamo, tossiamo o semplicemente respiriamo) e dal cosiddetto aerosol, composto da goccioline microscopiche. Le più grandi in linea generale tenderebbero a cadere nello spazio di 1-2 metri, mentre le più piccole si fermano prima, nei pressi della sorgente, evaporando rapidamente nel caso in cui ci fossero le condizioni ambientali idonee.

Rischio contagio a scuola

È alla luce di questo fattore universalmente riconosciuto che sono state stilate le linee guida per i riportare gli studenti nelle scuole e i lavoratori negli uffici, di concerto all'uso delle mascherine e alla cura dell'igiene delle mani. Per quanto concerne le scuole, che in Italia riapriranno da lunedì 14 settembre, sono stati previsti banchi monoposto; riorganizzazione delle aule per avere uno spazio individuale di almeno 2 metri; percorsi di entrata e uscita differenziati per limitare il rischio di assembramenti; ingressi scaglionati in più fasce; possibilità di turni differenziati; posizionamento strategico di gel igienizzanti; uso delle mascherine e altro ancora. Alcune misure saranno legate anche scelte autonome dei singoli istituti. Soluzioni analoghe sono state introdotte per le aziende, molte delle quali rimaste aperte anche nel cuore del picco epidemico dei mesi scorsi.

Tenendo presente quando indicato, si è davvero sicuri di essere protetti dal contagio mantenendo la distanza fisica di 1-2 metri? Secondo alcuni scienziati il distanziamento sociale non è assolutamente il fattore al centro del rischio di trasmissione, a maggior ragione poiché quello consigliato si basa su criteri ritenuti “obsoleti”, che affondano le radici su convinzioni maturate tra la fine del XIX secolo e la metà del XX secolo. A spiegarne i limiti è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Nuffield Department of Primary Care Health Sciences della prestigiosa Università di Oxford, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Ospedale St Thomas di Londra e del Fluid Dynamics of Disease Transmission Laboratory presso il Massachusetts Institute of Technology, meglio conosciuto con l'acronimo di MIT.

I ricercatori coordinati dal professor Nicholas R. Jones sottolineano innanzitutto che la distribuzione delle particelle virali è influenzata da molteplici fattori. In primo luogo ricordano che tossendo e starnutendo le goccioline possono percorrere molto più di 2 metri e arrivare fino a 7-8 metri, come mostra lo studio "Violent expiratory events: on coughing and sneezing" pubblicato sul Journal of Fluid Mechanics. È inoltre sufficiente un leggero flusso d'aria (come una brezza tra i 4 i 15 chilometri) per farle spostare sino a 6 metri, come emerso da una ricerca dei due scienziati Talib Dbouk e Dimitris Drikakis dell'Università di Nicosia (Cipro) pubblicata su Physics of Fluids. Anche il semplice tono di voce ha un impatto significativo sul flusso d'aria: basti pensare a ciò che è avvenuto in una chiesa negli Stati Uniti, dove un singolo superdiffusore ha contagiato ben 52 coristi durante una sessione di canto. Parlare ad alta voce come fa un insegnante, o urlare come fanno normalmente i bambini più piccoli, può dunque spingere le particelle virali ben più in là del metro o dei due metri considerati di sicurezza. La ventilazione, i regolari cambi d'aria, l'uso corretto dei sistemi di climatizzazione e il numero di persone presenti in un dato luogo sono tutti fattori che possono ulteriormente influenzare i flussi d'aria e dunque modificare il rischio di trasmissione. Come rilevato dagli studi "Aerodynamic analysis of SARS-CoV-2 in two Wuhan hospitals" e "Aerosol and surface distribution of severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 in hospital wards, Wuhan, China" gli aerosol contenenti particelle virali del coronavirus SARS-CoV-2 possono persistere stabilmente fino a ben 16 ore, perlomeno nei test di laboratorio.

Alla luce di tutti questi fattori, Jones e colleghi hanno messo a punto una tabella esemplificativa che mostra il rischio di contagio in presenza di varie condizioni: con o senza mascherina; con un contatto breve o prolungato; in posti all'aperto o al chiuso ben ventilati o poco ventilati; con poche o molte persone; quando si parla, canta, urla o si è silenziosi. Lo schema, basato sulla presenza di positivi asintomatici, mostra chiaramente che nelle aule di una scuola o all'interno di un ufficio – come può essere quello di un call center dove si parla molto ad alta voce – il rischio di contagio può essere assai elevato, soprattutto quando non si indossa una mascherina (che non determina perdita di lucidità quando la si usa e si parla per 15 minuti).

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Tra gli altri criteri da valutare nel rischio contagio, ricordano Jones e colleghi, vanno considerati anche altri fattori, quali la suscettibilità di un individuo alle infezioni – per questo agli studenti immunodepressi si raccomanda l'uso della mascherina nell'arco dell'intera giornata a scuola – e la carica virale del soggetto positivo che può diffondere il virus. Anche l'umidità gioca un ruolo significativo sulla trasmissione, molto più rilevante della temperatura. Per tutte queste ragioni, concludono gli autori dello studio, “la distanza fisica dovrebbe essere vista solo come una parte di un più ampio approccio di salute pubblica per contenere la pandemia di COVID-19. Deve essere implementata assieme a strategie combinate per la gestione di persone-aria-superficie-spazio, comprese l'igiene delle mani, la pulizia, l'occupazione, lo spazio interno, la gestione dell'aria e l'uso di dispositivi di protezione adeguati, come le mascherine”. I dettagli della ricerca "Two metres or one: what is the evidence for physical distancing in covid-19?" sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The British Medical Journal.

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