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Covid 19

Rilevati danni neurologici nei pazienti anche dopo forme moderate di COVID

Analizzando i casi di centinaia di pazienti COVID visitati presso il Boston University Medical Center, ricercatori americani hanno evidenziato che parte di essi ha sviluppato sintomi neurologici più o meno severi, dal comune mal di testa all’affaticamento persistente, passando per encefalopatie e ictus ischemici. Anche i pazienti con la forma moderata dell’infezione possono sviluppare disturbi neurologici a lungo termine.
A cura di Andrea Centini
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Il coronavirus SARS-CoV-2 è un patogeno respiratorio, tuttavia l'infezione da esso scatenata – chiamata COVID-19 – è in grado di colpire praticamente ogni organo e tessuto e tessuto del nostro organismo, anche indirettamente attraverso coaguli di sangue o una reazione immunitaria anomala (la cosiddetta “tempesta di citochine”). È noto che il virus può innescare anche diversi problemi neurologici, come dimostrato da un recente studio italiano guidato da scienziati della Clinica Neurologica III dell’Ospedale San Paolo – ASST Santi Paolo e Carlo e del Centro di ricerca “Aldo Ravelli” dell’Università Statale di Milano, nel quale è stato dimostrato che il 75 percento dei pazienti che si presenta al pronto soccorso per COVID-19 li manifesta. Un nuovo ha determinato che gli effetti sul sistema nervoso come delirio e stato mentale alterato possono verificarsi anche in chi manifesta la forma moderata dell'infezione, andando incontro a disturbi neurologici a lungo termine.

A rilevare l'associazione tra infezione da coronavirus e problemi neurologici è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Boston University Medical Center e della Scuola di Medicina dell'Università di Boston, che hanno revisionato le cartelle cliniche di circa 900 pazienti ricoverati tra il 15 aprile e il primo luglio presso il nosocomio della metropoli statunitense. Nella maggior parte dei casi si trattava di pazienti senza assicurazione sanitaria, a basso reddito e anziani. Sono stati coinvolti nella ricerca tutti coloro che avevano avuto un tampone oro-rinofaringeo positivo durante il ricovero (o entro 30 giorni dal ricovero) e che sono stati sottoposti a visite neurologiche durante il periodo di studio.

In totale sono stati analizzati i casi di oltre 70 pazienti con un'età media di 64 anni, per il 57 percento uomini. Tra i sintomi neurologici più comuni osservati dagli scienziati, coordinati dal professor Pria Anad, vi erano stato mentale alterato (39,53 percento), affaticamento (18,24 percento) e mal di testa (18,18 percento). In quindici hanno sperimentato crisi epilettiche e in 26 hanno ricevuto una diagnosi di encefalopatia, caratterizzata anche da confusione e delirio. In quindici hanno sviluppato un ictus ischemico (20 percento), mentre un paziente ha sviluppato una encefalite autoimmune, una condizione rara causata da un'aggressione al cervello e al midollo spinale da parte del sistema immunitario. Il 14 percento di chi è sopravvissuto all'infezione ha sviluppato una disabilità “moderatamente grave” al momento delle dimissioni, mentre in dieci sono deceduti durante il ricovero.

Come specificato dal professor Anand in un comunicato stampa, a volte i sintomi neurologici sono dovuti a una risposta immunitaria “iperattiva” come la sindrome di Guillain-Barré, che provoca un attacco ai nervi da parte del sistema immunitario, in altri casi invece possono emergere perché il paziente è molto grave, magari ricoverato in terapia intensiva. Come dimostrato da scienziati italiani dell’Università Bicocca di Milano e dell’Ospedale San Gerardo di Monza, il coronavirus può provocare la formazione di coaguli di sangue, che a loro volta possono innescare un ictus. Ma il patogeno può anche invadere direttamente il sistema nervoso, passando dalla mucosa nasale come evidenziato da un'altra recente ricerca. Il professor Anand ha sottolineato che anche le persone che sviluppano la forma lieve dell'infezione, quelle che non vengono ricoverate in ospedale, possono sviluppare sintomi neurologici persistenti, come l'affaticamento e la “nebbia cerebrale”, che comporta alterazioni di memoria, concentrazione e capacità cognitive. Lo scienziato ha inoltre ribadito che la COVID-19 può colpire in modo serio anche i giovani, che dunque non dovrebbero affatto sentirsi al sicuro dal virus. I dettagli della ricerca “Neurologic findings among inpatients with COVID-19 at a safety-net US hospital” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Neurology Clinical Practice.

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