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Covid 19

Perché rischiamo un’ondata di Alzheimer e altre forme di demenza a causa della pandemia

Diversi studi hanno dimostrato che il coronavirus riesce ad attaccare il sistema nervoso centrale, sia direttamente che indirettamente. Un gruppo di ricerca internazionale sospetta che l’invasione del tessuto nervoso da parte del SARS-CoV-2 possa accelerare il declino cognitivo nelle persone suscettibili, e ciò potrebbe portare a una vera e propria ondata di casi di Alzheimer e altre forme di demenza nel futuro.
A cura di Andrea Centini
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Il coronavirus SARS-CoV-2 è un patogeno respiratorio come quelli responsabili dell'influenza e del raffreddore, tuttavia è ormai acclarato che l'infezione da esso provocata (chiamata COVID-19) possa avere un impatto devastante praticamente su ogni apparato e organo del nostro corpo, coinvolgendo oltre ai polmoni – sia direttamente che indirettamente – anche il cuore, il fegato, l'intestino e persino il sistema nervoso centrale. Un team di ricerca tedesco guidato da scienziati del Dipartimento di Neuropatologia dell’istituto Charité di Berlino ha recentemente scoperto che il coronavirus sfrutta la mucosa olfattiva per raggiungere il cervello, passando attraverso il nervo-bulbo olfattivo; questo accesso potrebbe essere alla base delle conseguenze cognitive scatenate dall'infezione, come la perdita del gusto e dell'olfatto, il delirio, la psicosi e la famigerata “nebbia cerebrale”. Ora un copioso gruppo di scienziati ipotizza che la COVID-19 possa avere conseguenze neurologiche a lungo termine, anche quando provoca sintomi lievi, e ciò potrebbe determinare nel futuro una vera e propria ondata di casi di declino cognitivo, morbo di Alzheimer e altre forme di demenza.

A sottolineare che stiamo correndo questo rischio è stato un team di ricerca internazionale, che ha dato vita a un vero e proprio consorzio multidisciplinare per comprendere gli effetti a breve e lungo termine sul sistema nervoso centrale provocati dal SARS-CoV-2. Tra le istituzioni coinvolte l'Associazione Alzheimer e i rappresentanti di oltre trenta Paesi sotto la guida dell'Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS). Gli esperti hanno già pubblicato un primo lavoro dedicato alle principali epidemie/pandemie di infezioni virali dell'ultimo secolo, nel quale viene evidenziato quanto esse hanno impattato su memoria, cognizione e comportamento delle popolazioni. Tra le patologie analizzate figurano la SARS e la MERS, entrambe causate da betacoronavirus “cugini” del SARS-CoV-2, ma anche la famigerata pandemia di "spagnola" del 1917-1918, che causò decine di milioni di morti in tutto il mondo. Documenti storici indicano impennate di casi di declino cognitivo e forme di demenza anni dopo la sparizione del letale virus influenzale, e si teme che lo stesso possa accadere nei prossimi anni/decenni dopo aver superato la pandemia di COVID-19. "Dalla pandemia influenzale del 1917 e del 1918, molte delle malattie simili all'influenza sono state associate a disturbi cerebrali”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Gabriel A. de Erausquin, docente di neurologia presso l'UT Health San Antonio. “Tra i virus respiratori responsabili vi erano H1N1 e SARS-CoV. Il virus SARS-CoV-2, che causa COVID-19, è noto anche per avere un impatto sul cervello e sul sistema nervoso”, ha aggiunto l'esperto.

Per comprendere meglio l'impatto del coronavirus SARS-CoV-2 su cervello e cognizione, “inclusa la biologia sottostante che può contribuire all'Alzheimer e ad altre demenze” – scrivono gli scienziati sul sito della Alzheimer Association – gli esperti stanno mettendo a punto un vasto studio internazionale. Saranno coinvolti sia pazienti che hanno superato la COVID-19 che partecipanti ad altre indagini scientifiche, e verranno valutati per un periodo di follow-up di 6, 9 e 18 mesi. “L'idea di base del nostro studio è che alcuni dei virus respiratori hanno affinità per le cellule del sistema nervoso”, ha dichiarato il professor Sudha Seshadri, direttore del Glenn Biggs Institute e docente di neurologia. “Le cellule olfattive sono molto suscettibili all'invasione virale e sono particolarmente colpite dal SARS-CoV-2, ed è per questo che uno dei sintomi principali di COVID-19 è la perdita dell'olfatto”, ha aggiunto l'esperto. Poiché il bulbo olfattivo è collegato all'ippocampo – una parte del cervello strettamente associata alla memoria a breve termine – gli esperti ritengono che questa possa essere la ragione degli effetti neurologici. “La traccia del virus, quando invade il cervello, porta quasi direttamente all'ippocampo. Si ritiene che questa sia una delle fonti del deterioramento cognitivo osservato nei pazienti COVID-19. Sospettiamo che possa anche essere parte del motivo per cui ci sarà un'accelerazione del declino cognitivo nel tempo negli individui suscettibili”, ha aggiunto lo studioso. La ricerca raccoglierà dati nei prossimi 2 / 3 anni e i primi risultati dovrebbero essere resi disponibili nei primi mesi del prossimo anno.

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