Perché aprire tutto con la variante indiana è un errore da evitare (nonostante i vaccini)
La variante inglese B.1.1.7 del coronavirus SARS-CoV-2, conosciuta anche Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01, dopo essere emersa nell'autunno del 2020 nell'Inghilterra sudorientale si è diffusa rapidamente nel resto del mondo, diventando in molti casi il principale veicolo di contagio. Secondo gli studiosi questo ceppo ha infatti una trasmissibilità fino al 90 percento superiore rispetto al lignaggio originale di Wuhan; ciò gli ha permesso di imporsi facilmente come variante dominante. Ma il suo “regno” potrebbe essere presto surclassato dalla seconda variante indiana B.1.617, che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato come Variant of Concern o “Variante di Preoccupazione”. A causa delle sue caratteristiche, infatti, gli scienziati ritengono che possa essere fino al 60 percento più contagiosa rispetto alla variante inglese, inoltre sono presenti mutazioni che le garantirebbero una certa resistenza agli anticorpi. Ha dunque tutte le "carte in regola" per dar vita a nuove, pericolose ondate di contagi, nonostante il prosieguo della campagna vaccinale.
I numeri della copertura, del resto, ci dicono chiaramente che siamo ben lungi dall'ottenere lo scudo offerto dall'immunità di gregge, nel caso in cui nel nostro Paese dovessero scoppiare focolai significativi di questa variante. In base alla “mappa delle vaccinazioni” di Our World in data, ad oggi in Italia sono state somministrate 27,4 milioni di dosi e risultano completamente vaccinate solo 8,63 milioni di persone (su una popolazione di 60 milioni). Considerando che la soglia per raggiungere l'immunità di gregge – che potremmo non raggiungere mai, secondo alcuni studiosi – si è innalzata dal 60 percento all'80 percento proprio a causa della circolazione della variante inglese più trasmissibile, con la diffusione di un lignaggio ancor più pericoloso come la seconda variante indiana (suddivisa nei tre sottogruppi B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3) sarà necessaria una copertura ancora maggiore. Nel frattempo, dove i contagi dilagano e la vaccinazione arranca, possono sorgere ulteriori varianti mutate di preoccupazione. È alla luce di questo scenario che una riapertura completa, non progressiva e che non tenga conto della situazione globale rischia di far innescare una nuova ondata di casi, a causa di focolai fuori controllo. È ancora troppo ampia la fetta di popolazione non immunizzata contro il coronavirus SARS-CoV-2 per ritenerci al sicuro.
A suggerire che la circolazione di varianti come quella indiana deve farci tenere la guardia ancora molto alta lo dimostra ciò che si sta verificando nel Regno Unito, dove la campagna vaccinale è decisamente più avanti. Nei Paesi della Gran Bretagna sono state infatti somministrate 56,7 milioni di dosi e 20,1 milioni di persone risultano già completamente protette (pari al 30,2 percento della popolazione). Nonostante questi numeri abbiano fatto crollare contagi, ricoveri in ospedale e decessi, con le conseguenti riaperture “post lockdown”, diversi esperti sottolineano comunque di approcciare la nuova fase con estrema cautela. Per fare un esempio, per la prima volta dallo scorso autunno in Inghilterra ci si potrà nuovamente incontrare all'interno di locali pubblici e privati al chiuso, dalle case ai ristoranti. Il professor Sir Mark Walport, ex direttore del Wellcome Trust e capo consigliere scientifico fino al 2017, ha dichiarato al Guardian di essere molto preoccupato "sulla base del principio di precauzione e dell'esperienza con le ondate precedenti". "Personalmente non entrerò al chiuso in bar o ristoranti per un po' di tempo", ha spiegato lo scienziato.
Gli esperti del Regno Unito si aspettano una modesta ondata di contagi nel cuore dell'estate a causa delle riaperture, ma se dovesse entrate in gioco la seconda variante indiana, i cui casi sono raddoppiati nel giro di una settimana, con la sua diffusione tra i non vaccinati si potrebbe verificare una nuova ondata paragonabile o peggiore di quelle precedenti, per gravità e intensità. Come dichiarato da alcuni esperti del SAGE (Scientific Advisory Group for Emergencies) del Regno Unito, la circolazione di “una variante potenzialmente più contagiosa – che si trasmette più facilmente di quella inglese – potrebbe portare a un’ondata significativa di infezioni, potenzialmente più grande di quella vista nel gennaio 2021, se non ci saranno interventi”. Attraverso alcuni modelli matematici i ricercatori hanno determinato che con la diffusione di una variante del 30 percento più trasmissibile dell'inglese si verificherebbe un aumento dei ricoveri rispetto a quelli della prima ondata. Se la variante fosse il 40 percento più trasmissibile, si arriverebbe a 6mila ricoveri al giorno; con il 50 percento di contagiosità più, si arriverebbe persino a 10mila ricoveri al giorno. Questi numeri farebbero superare i drammatici picchi della seconda ondata. Secondo gli scienziati della London School of Hygiene and Tropical Medicine, inoltre, con una variante più trasmissibile del 50 percento potrebbe essere raggiunto un picco di mille morti al giorno in estate.
In Italia, dove la copertura vaccinale è più indietro rispetto a quella del Regno Unito, la diffusione di un ceppo con simili caratteristiche potrebbe comportare una significativa impennata delle curve epidemiologiche, con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di sofferenza e inasprimento delle restrizioni. Per questa ragione è doveroso continuare ad accelerare con le vaccinazioni, evitare che sul territorio nazionale attecchiscano focolai della variante indiana (al momento i voli internazionali da e per l'India sono bloccati fino al 31 maggio) e riaprire le attività in modo sicuro e graduale, parallelamente alla portata della campagna vaccinale. Non a caso in Gran Bretagna si sta vaccinando di più nelle zone dove stanno emergendo i casi della nuova variante (come ad esempio nel Derbyshire e in Scozia) proprio per cercare di contenere il più possibile lo scoppio dei focolai e il diffondersi del virus.