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Le stagioni influenzano aggressività e diffusione del coronavirus in Italia: lo dimostra uno studio

Analizzando il rapporto tra i dati dei ricoveri nelle terapie intensive, numero di positivi attivi e decessi, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati italiani ha dimostrato che nel nostro Paese l’aggressività e la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 sono influenzate da un “effetto stagionale estremamente significativo”.
A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, venerdì 18 dicembre 2020, sulla base della mappa interattiva sviluppata dall'Università Johns Hopkins dall'inizio della pandemia in Italia sono stati registrati oltre 1,9 milioni di contagiati (complessivi) e più 67mila vittime a causa del coronavirus SARS-CoV-2. Infezioni e decessi, come evidenziato dai bollettini diffusi dalla Protezione Civile, non sono distribuiti in modo uniforme nel corso dei mesi, ma legati a due ondate (delle quali la seconda è ancora in corso) con picchi drammatici di morti, ricoveri in terapia intensiva e nuovi positivi. Entrambe le ondate sono concentrate nei mesi “freddi” dell'anno, come previsto almeno da una parte degli esperti; ora un nuovo studio certifica che nel nostro Paese esiste un “effetto stagionale estremamente significativo” sia nella diffusione che nella gravità della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2.

A dimostrare con una approfondita analisi statistica il legame tra picchi epidemici e cambiamenti stagionali nella pandemia di COVID-19 in Italia è stato un team di ricerca internazionale composto da scienziati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iriss), della Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi Napoli Federico II, dell'Osservatorio Vesuviano dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), del Dipartimento Ambiente della Regione Puglia e della Gallatin School of Individualized Study presso l'Università di New York. Gli scienziati sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo in relazione i dati di terapie intensive, decessi e positivi tra aprile e agosto. “Lo studio ha analizzato in maniera sistematica, da aprile ad agosto 2020, il rapporto tra terapie intensive e casi attivi e quello tra decessi e casi attivi. Due indicatori estremamente significativi nello studio dell'aggressività della malattia. Entrambi questi rapporti calano bruscamente a partire da maggio e, all'inizio di agosto, raggiungono valori quasi 20 volte minori rispetto al picco di inizio aprile”, ha dichiarato il dottor Antonio Coviello del CNR.

“Questi rapporti, sebbene influenzati dal continuo aumento dei tamponi, a un'analisi statistica accurata risultano comunque significativamente minori nei mesi estivi in cui, oltre a essere drasticamente diminuiti i contagi, anche il decorso della malattia è stato molto più mite”, gli ha fatto eco il dottor Renato Somma, anch'egli del CNR. “Questo effetto – prosegue lo scienziato – è in totale contrapposizione con quanto prevedevano, a maggio, i gruppi internazionali di epidemiologia che arrivavano ad ipotizzare migliaia di decessi giornalieri ed oltre 150.000 pazienti bisognosi di terapie intensive entro luglio, dopo le riaperture totali effettuate in Italia dall'inizio di giugno”. In parole semplici, l'aggressività e la diffusione del virus sono state molto ridimensionate durante i mesi caldi dell'anno, per poi ridestarsi verso la fine dell'estate. Ciò non significa che il virus fosse “morto”, come suggerito da alcuni, ma che fosse semplicemente in "agguato", pronto a colpire duramente non appena le condizioni ambientali lo avessero reso possibile.

Secondo gli autori dello studio ci sono stati due fattori fondamentali a mitigare l'aggressività e la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 durante l'estate. Da una parte, ha spiegato il coautore Lorenzo di Natale, vi è “l'effetto fortemente sterilizzante dei raggi solari ultravioletti sul virus”, dall'altra “la nota stagionalità della risposta immunitaria, che in estate è più efficace e meno infiammatoria”. “Nella fase grave, Covid-19 si comporta essenzialmente come una malattia auto-immune, in cui i danni maggiori agli organi bersaglio, in primis i polmoni, sono generati dalla risposta infiammatoria del sistema immunitario nota come tempesta di citochine”, ha proseguito lo studioso. Questa alterazione della risposta immunitaria può innescare a sua volta insufficienza multiorgano e sindrome da distress respiratorio acuto o (ARDS), entrambe condizioni che spesso risultano fatali per i pazienti.

In base a quanto indicato dagli esperti, vi sono anche diverse altre ragioni per cui i virus respiratori si diffondono più facilmente durante il periodo freddo dell'anno, come del resto avviene per quelli responsabili di raffreddore e influenza. Ad esempio, quando fa freddo trascorriamo molto più tempo al chiuso e in locali  affollati e poco areati, dove naturalmente è molto più semplice entrare in contatto con le goccioline respiratorie rilasciate da un positivo, inoltre si determinano diverse condizioni fisiologiche favorevoli ai virus, come specificato dalla dottoressa Valentina Paolucci. Fra esse figurano vasocostrizione, irritazione delle mucose e riduzione nel movimento delle ciglia che “tengono a bada” i patogeni dalle alte vie respiratorie.

Gli autori del nuovo studio hanno affermato che la “marcata stagionalità” della pandemia in Italia sembra essere presente anche in altri Paesi temperati, e ciò potrebbe spiegare come mai in aree povere e con condizioni igienico-sanitarie peggiori ma “calde e soleggiate” la letalità sia stata decisamente inferiore. Poiché stiamo per entrare in inverno e il rischio di una terza ondata è assolutamente da non sottovalutare, gli scienziati raccomandano di introdurre misure di contenimento adeguate e il rispetto delle norme anti-contagio di base (mascherine, distanziamento sociale e igiene delle mani), fino a quando la diffusione del vaccino non ci farà vincere la battaglia col virus. I dettagli della ricerca “The evolution of COVID-19 in Italy after the spring of 2020: an unpredicted summer respite followed by a second wave” sono consultabili sul database online BioRxiv e pubblicati sulla rivista scientifica specializzata International Journal of Environmental Research and Public Health.

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