Il Consiglio di Stato approva l’uso dell’idrossiclorochina, ma l’efficacia anti COVID è dubbia
La COVID-19 è una nuova malattia infettiva, provocata da un patogeno – il coronavirus SARS-CoV-2 – identificato per la prima volta solo un anno fa. Trattandosi di una nuova infezione non c'è ancora una cura, e i medici, per combatterla, nella stragrande dei casi stanno utilizzando farmaci che già avevano a disposizione prima della pandemia, o che comunque erano in sperimentazione. Sono stati utilizzati – e vengono utilizzati tuttora – in seno ai protocolli off label (fuori etichetta, poiché pensati per altre patologie) e nel cosiddetto uso compassionevole. Possiamo citare il desametasone, che è in grado di abbattere la mortalità del 30 percento, e il Remdesivir, un antivirale sperimentale progettato per l'Ebola e il virus Marburg e ritenuto efficace (con alcune riserve) anche contro il coronavirus. Solo recentemente sono stati autorizzati in uso di emergenza anticorpi monoclonali specifici contro la COVID-19, i primi farmaci anti COVID creati ad hoc. Da quando è scoppiata la pandemia sono stati numerosi i farmaci finiti sotto i riflettori, e uno di quelli più discussi in assoluto è indubbiamente l'idrossiclorochina, finita in un vero e proprio vortice di polemiche e controversie. Basti pensare che il Consiglio di Stato ha appena "smentito" l'AIFA, accogliendo il ricorso contro la sospensione per l'uso off label al di fuori degli studi clinici. Per comprendere meglio cosa sta accadendo, è doveroso fare un passo indietro.
L'idrossiclorochina è un farmaco antimalarico direttamente derivato della clorochina, ed entrambi vengono utilizzati da tantissimi anni per combattere e prevenire questa malattia. Nello specifico, l'idrossiclorochina fu prodotta più di 70 anni fa aggiungendo un gruppo idrossilico alla clorochina, dando vita a un composto decisamente meno tossico e più versatile. Non a caso oggi è approvata per combattere patologie autoimmuni alla stregua dell'artrite reumatoide, del lupus eritematoso sistemico e della porfiria cutanea, ed è proprio grazie a questa sua capacità di immunomodulatore che si è pensato sin da subito di utilizzarla contro la COVID-19. Tra le complicazioni più severe che possono emergere a causa dell'infezione, infatti, vi è la cosiddetta “tempesta di citochine”, una risposta immunitaria esagerata che può sfociare in insufficienze multiorgano e nella sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS: entrambi sono potenzialmente fatali. All'inizio della pandemia si riteneva fosse così promettente – anche grazie ai risultati di alcuni studi francesi – da spingere il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a considerare questo farmaco un “game changer” nella lotta al virus, quando associata all'antibiotico azitromicina.
La storia, per chi ha seguito la parabola dell'idrossiclorochina, è andata molto diversamente. Tra studi ritirati, impennate nella mortalità dei pazienti, l'emersione di effetti collaterali significativi a livello cardiaco (in particolar modo aritmie) e trial clinici che hanno iniziato a evidenziarne l'inefficacia, il medicinale è stato coinvolto in un vero e proprio turbinio mediatico, che ha portato a repentini dietrofront anche da parte delle massime autorità sanitarie internazionali. Basti pensare che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) decise di sospendere gli studi clinici in corso, per poi fare retromarcia. Per quanto concerne l'Italia, il 22 luglio scorso l'AIFA ha deciso di sospendere l'uso del farmaco al di fuori degli studi clinici. Nel documento pubblicato sul sito dell'Agenzia si legge: “In questa fase dell’epidemia, considerate le evidenze attualmente disponibili, l’AIFA conferma la sospensione dell’uso dell’idrossiclorochina, da sola o in associazione ad altri farmaci, al di fuori degli studi clinici. Per analogia tale disposizione si intende applicata anche alla clorochina”. “Al di fuori delle osservazioni in vitro – proseguiva l'AIFA – le evidenze disponibili non consentono di definire il ruolo di idrossiclorochina nella profilassi dell’infezione da SARS-CoV-2. Si conferma quindi che l’uso profilattico deve essere considerato esclusivamente nell’ambito di studi clinici”. In parole semplici, ha optato la sospensione al di fuori dei trial clinici per mancanza di evidenze scientifiche sull'efficacia contro la COVID-19 , sottolineando anche i rischi in fase di sperimentazione. “L’utilizzo di dosi elevate di idrossiclorochina aumenta il rischio di eventi avversi. Per tale ragione, anche nell’ambito di eventuali studi clinici, si raccomanda di utilizzare il dosaggio più basso e per il minor tempo possibile (5-7 giorni)”. Infine l'AIFA ha indicato che l'uso off label di idrossiclorochina e clorochina al di fuori di sperimentazioni cliniche “non è né autorizzato né rimborsato dal SSN”.
La storia sembrava finita lì, anche perché i risultati di numerosi studi continuavano a confermare l'inefficacia del farmaco sia contro l'infezione precoce che contro quella avanzata. Vediamone alcuni. Nello studio “Hydroxychloroquine in Nonhospitalized Adults With Early COVID-19”, ad esempio, è stato concluso che l'idrossiclorochina non ha ridotto sostanzialmente la gravità dei sintomi nei pazienti con COVID-19 lieve. La ricerca “Effect of Hydroxychloroquine in Hospitalized Patients with Covid-19” pubblicata sull'autorevole The New England Journal of Medicine, la rivista medica più autorevole in assoluto, ha invece determinato che i pazienti trattati non beneficiano di alcuna riduzione del tasso di mortalità rispetto a quelli curati col protocollo standard. Un'altra ricerca dell'Università del Minnesota ha dimostrato che l'antimalarico non previene la COVID-19 negli operatori sanitari, mentre l'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha recentemente indicato che clorochina e idrossiclorochina possono aumentare il rischio di suicidio nei pazienti, ribadendo che i due farmaci non hanno mostrato benefici nel trattamento dell’infezione da nuovo coronavirus Sars-Cov-2 in approfonditi studi clinici randomizzati.
Nonostante queste premesse, il Consiglio di Stato ha deciso di accogliere il ricorso di un gruppo di medici di base contro la sospensione dell'AIFA sull'uso off label dell'antimalarico, giustificando la decisione sulla base della seguente considerazione: “La perdurante incertezza circa l'efficacia terapeutica dell'idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a giustificazione dell'ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale”. Il Consiglio di Stato ha dunque "superato" l'AIFA e riammesso la possibilità di utilizzare il farmaco nei pazienti COVID non ospedalizzati, che acconsentano a tale trattamento e sotto la stretta responsabilità del medico curante. Del resto non tutti gli ultimi studi sono negativi, e proprio una ricerca italiana condotta da scienziati del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione presso l'IRCCS Neuromed di Pozzilli ha determinato che il medicinale ha ridotto del 30 percento la mortalità dei pazienti. Al momento sono ancora in corso molteplici studi per determinare in modo chiaro e definitivo l'efficacia dell'idrossiclorochina contro il coronavirus; la speranza, dunque, è che venga fatta luce al più presto, nonostante la netta presa di posizione di alcune delle più autorevoli istituzioni sanitarie come l'EMA. Nel frattempo in Italia si potrà continuare a usare il farmaco "fuori etichetta" contro la COVID-19.