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Covid 19

L’idrossiclorochina non offre benefici contro il coronavirus: lo confermano altri 3 grandi studi

Nuovi studi scientifici controllati e randomizzati hanno rilevato che l’antimalarico idrossiclorochina non fornisce benefici clinici ai pazienti con COVID-19, l’infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2. Sono ormai diverse le ricerche che suggeriscono l’inefficacia del principio attivo contro il patogeno emerso in Cina. Si attende la decisione finale dell’OMS sull’opportunità o meno di proseguire con la sperimentazione.
A cura di Andrea Centini
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Tra i farmaci coinvolti nella lotta alla pandemia di coronavirus SARS-CoV-2, l'antimalarico idrossiclorochina probabilmente verrà ricordato come il più discusso in assoluto, essendo passato da potenziale “salvatore della patria” a l'essere tacciato di inutilità e persino di pericolosità per i pazienti trattati, a causa di possibili problemi cardiaci. L'idrossiclorochina è stata difesa a spada tratta dall'infettivologo francese Didier Raoult, che l'ha utilizzata in alcuni controversi trial clinici, e ha persino ricevuto la “promozione” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che su Twitter l'aveva annunciata come possibile “game changer” nella lotta alla pandemia (in associazione all'antibiotico azitromicina). Trump, tempo dopo, ha addirittura affermato di aver iniziato una terapia preventiva contro il coronavirus a base del medicinale, per la quale non era approvata (e per questo scatenando le polemiche degli esperti).

Ma test dopo test, diversi scienziati hanno iniziato ad accorgersi che qualcosa non quadrava, spingendo alcuni team a sospendere la somministrazione per sospette impennate nel tasso di mortalità tra i pazienti e alterazioni nel ritmo cardiaco. Tra i primi a bloccare l'uso della clorochina sui pazienti con COVID-19 vi sono stati i ricercatori dell'Università dello Stato di Amazonas e della Fundacao de Medicina Tropical Doutor Heitor Vieira Dourado, che la stavano sperimentando a differenti dosaggi. La squadra guidata dal professor Marcus Lacerda ha osservato un +17 % nella mortalità dei pazienti trattati con l'alto dosaggio, oltre che un maggior numero di aritmie ventricolari. Sulla scorta di questi risultati un ospedale francese ha deciso di sospendere la sperimentazione dell'idrossiclorochina.

Il “colpo di grazia” all'antimalarico era arrivato con lo studio “Hydroxychloroquine or chloroquine with or without a macrolide for treatment of COVID-19: a multinational registry analysis”, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, in base al quale non solo non sono stati evidenziati benefici nei pazienti, ma anche problemi cardiaci e tassi di mortalità superiori rispetto al gruppo di controllo. Sulla base dei risultati di questo studio, l'OMS, l'Agenzia del Farmaco Italiana (AIFA) e altre autorità sanitarie hanno deciso di sospendere la sperimentazione clinica dell'idrossiclorochina, ma a sorpresa la ricerca è stata ritirata a causa di gravi falle nei dati, e così l'OMS ha annunciato di riprendere i test.

Adesso, tuttavia, sono stati pubblicati tre nuovi grandi studi che sembrano confermare l'inefficacia del farmaco contro la COVID-19, e che potrebbero mettere la parola fine alla somministrazione compassionevole. Tutte e tre le indagini sono state citate in un editoriale pubblicato sull'autorevole rivista scientifica Science. Nel primo studio, chiamato “Randomised Evaluation of COVid-19 thERapY (RECOVERY) Trial on hydroxychloroquine” e pubblicato il 5 giugno, l'idrossiclorochina è stata somministrata a oltre 1500 pazienti gravi ricoverati con COVID-19, che sono stati messi a confronto con più di 3.100 pazienti del gruppo di controllo, trattati solo con terapie standard. Nel gruppo trattato con l'idrossiclorochina, entro 28 giorni è deceduto il 25,7 percento dei pazienti, mentre tra i pazienti del gruppo di controllo la percentuale dei decessi è stata del 23,5 percento. Ciò suggerisce che l'idrossiclorochina non abbia fornito alcun beneficio in termini di mortalità. Uno scienziato dell'Università di Oxford, il professor Martin Landray coinvolto nello studio RECOVERY, si è addirittura lanciato in questa frase sibillina: “Se tu, il tuo coniuge, o tua madre venite ricoverati in ospedale e vi viene offerta l'idrossiclorochina, non prendetela”. Gli scienziati convengono sull'importanza della verifica di tutti i dati, ma troppi segnali iniziano a delineare un quadro che probabilmente non cambierà con ulteriori indagini.

Il secondo studio “A Randomized Trial of Hydroxychloroquine as Postexposure Prophylaxis for Covid-19” citato da Science riguarda la terapia profilattica chiamata “profilassi post-esposizione” o PEP, in base alla quale il farmaco viene somministrato a persone in stretto contatto con positivi e che dunque sono a serio rischio di sviluppare la malattia. “I ricercatori – scrive Science – hanno inviato per posta l'idrossiclorochina o un placebo a 821 persone che erano state a stretto contatto con un paziente COVID-19 per più di 10 minuti e senza un'adeguata protezione”. Ebbene, il 12 percento di chi ha assunto l'idrossiclorochina ha sviluppato i sintomi della COVID-19, così come il 14 percento del gruppo trattato col placebo. La differenza statistica emersa è troppo esigua per far emergere un'efficacia dell'antimalarico come farmaco preventivo. I risultati di questa indagine sono stati suffragati da quelli di un terzo studio, “Treatment of COVID-19 Cases and Chemoprophylaxis of Contacts as Prevention (HCQ4COV19)” condotto in Spagna. Tra gli oltre 2300 pazienti coinvolti, trattati con idrossiclorochina o con terapia standard, non è stata evidenziata alcuna differenza nel decorso della patologia.

Tutti questi risultati suggeriscono che l'idrossiclorochina possa non essere efficace contro la COVID-19, anche se alcuni ritengono si possa continuare a sperimentarla nell'ambito della profilassi. Nelle prossime settimane, verosimilmente, arriverà la decisione definitiva dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sull'opportunità o meno di continuare a “puntare” sul discusso antimalarico.

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