Crisi epilettiche, nebbia mentale e ictus: come il coronavirus attacca il cervello
Il coronavirus SARS-CoV-2 è un patogeno respiratorio, tuttavia è ormai evidente da numerosissimi studi che può avere un impatto devastante praticamente su ogni organo e tessuto del corpo umano. Il virus pandemico, infatti, può aggredire sia direttamente che indirettamente i vari apparati, ad esempio attraverso coaguli di sangue/trombi e una risposta immunitaria esagerata chiamata “tempesta di citochine”, che a sua volta può innescare la sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS (una delle complicazioni spesso fatali). Tra gli organi colpiti dal coronavirus vi è anche il cervello, e non a caso sono molteplici i sintomi neurologici diagnosticati in associazione alla COVID-19, l'infezione provocata dal SARS-CoV-2.
Si spazia dal mal di testa alla perdita dell'olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia) o alla sua alterazione (disgeusia), passando per crisi epilettiche; disturbi della memoria; problemi di concentrazione; sintomi depressivi (che in base a un nuovo studio colpiscono oltre il 50 percento dei pazienti); ansia; insonnia; compromissione della coscienza; encefalopatie e anche ictus. Molte di queste condizioni, come la famigerata “nebbia cerebrale” che abbraccia più disturbi cognitivi, spesso sono presenti anche a mesi di distanza dell'infezione acuta, facendo parte della cosiddetta Long COVID, gli strascichi dovuti all'infezione.
Tra chi sta indagando a fondo sugli effetti neurologici immediati e a lungo termine della COVID-19 vi sono gli esperti della Società Italiana di Neurologia (SIN), che proprio in questi è impegnata nella “Settimana del Mondiale del Cervello” (15-21 marzo), quest'anno fortemente legata alle conseguenze della pandemia. Non a caso il tema centrale del programma è “Il Cervello ai tempi del Covid”. “La SIN sta portando avanti progetti di ricerca e studi clinici per indagare in maniera approfondita su questo legame, anche per mettere a punto protocolli clinici che aiutino a intervenire tempestivamente”, ha dichiarato il presidente Gioacchino Tedeschi. Una delle ricerche più significative in corso è lo studio “Covid-Next” condotto da Università degli Studi di Milano, Università di Milano-Bicocca e Istituto Auxologico di Milano, che ha coinvolto oltre 160 pazienti ricoverati a Brescia con l'infezione in forma medio-grave. “Il 70 percento riferisce disturbi neurologici a distanza di 6 mesi dalla dimissione. Tra i sintomi più riportati vi sono stanchezza cronica (34 percento), disturbi di memoria e concentrazione (32 percento), disturbi del sonno (31 percento), dolori muscolari (30 percento), disturbi della vista e testa vuota (20 percento). Inoltre, disturbi depressivi o ansiosi sono presenti in oltre il 27 percento del campione”, ha dichiarato all'ANSA il professor Alessandro Padovani, che dirige la Clinica Neurologica del capoluogo lombardo.
Significativi anche i casi di eventi neurologici severi, come mostra un'altra indagine condotta su 1.760 pazienti, tutti ospedalizzati a Bergamo durante la prima ondata della pandemia. I medici hanno osservato 137 complicazioni severe, principalmente ictus ischemici. Un precedente studio coordinato da scienziati della Clinica Neurologica III dell’Ospedale San Paolo – ASST Santi Paolo e Carlo e del Centro di ricerca “Aldo Ravelli” dell’Università Statale di Milano aveva determinato che circa i tre quarti dei pazienti contagiati dal patogeno pandemico che arrivano al pronto soccorso e/o vengono ospedalizzati presentano problemi neurologici. I più diffusi erano il mal di testa (un sintomo fortemente legato al rischio di depressione nei pazienti COVID); i dolori muscolari; l'anosmia e l'ageusia. Ma si registrano anche compromissione della coscienza, ictus, encefaliti e altre encefalopatie. A tutte queste condizioni neurologiche provocate dal SARS-CoV-2 i neurologi danno il nome generico di “NeuroCovid”.
Secondo gli esperti, quando tali sintomi persistono per mesi dopo la fase acuta è possibile che il virus abbia reso evidenti sindromi autoimmuni latenti, inoltre può avere un effetto anche il disturbo da stress post-traumatico che vivono molti pazienti Covid, soprattutto quelli che hanno vissuto l'esperienza della terapia intensiva. Un recente studio condotto da scienziati tedeschi del Dipartimento di Neuropatologia dell’istituto Charité di Berlino ha determinato che il coronavirus SARS-CoV-2 può farsi strada verso il cervello e attaccare direttamente le cellule nervose attraverso il nervo olfattivo, come mostrano alcune immagini rilevate col microscopio elettronico. Grazie al Progetto Neuro-Covid gli scienziati della SIN proveranno a far luce su tutte le conseguenze neurologiche provocate dal coronavirus e mettere a punto piani terapeutici ad hoc per i pazienti.