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Covid 19

Cos’è lo spillback, la minaccia “silenziosa” della pandemia di Covid

Da tempo è stato dimostrato che l’uomo può contagiare col coronavirus SARS-CoV-2 diverse specie animali, dal gatto domestico al leone, passando per scimmie antropomorfe e molte altre. Ad oggi solo nel caso dei visoni si è verificato lo spillback, ovvero il “contagio di ritorno” da animale a uomo. Ecco perché si tratta di una delle principali minacce della pandemia di COVID-19.
A cura di Andrea Centini
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Sebbene ci siano ancora molti dubbi sull'effettiva origine del coronavirus SARS-CoV-2, l'ipotesi più probabile secondo gli scienziati è quella dello spillover, ovvero il “salto” all'uomo da una specie animale intermedia – non ancora identificata – che avrebbe così innescato la pandemia di COVID-19. L'unica certezza è che in principio il patogeno circolava naturalmente nei pipistrelli a ferro di cavallo, dai quali sarebbe poi passato al "serbatoio" e infine a noi. Non si esclude del tutto che il virus possa essere stato trasmesso all'uomo direttamente dai mammiferi alati. Si ritiene comunque che lo spillover si sia verificato in un allevamento di fauna selvatica, in un famigerato mercato umido o magari direttamente in natura, durante una battuta di caccia illegale ad animali protetti. Per l'epidemia di SARS la specie intermedia fu uno zibetto, mentre per quella di MERS fu il dromedario; per la COVID-19, malattia causata da un betacoronavirus come quelli responsabili delle altre due, si pensa possa essere il pangolino, ma al momento, come indicato, non ci sono certezze sulla specie serbatoio. Ciò che sappiamo è che il coronavirus SARS-CoV-2 è estremamente abile nell'infettare numerose specie animali e per questa ragione si teme un fenomeno che si è già verificato una volta con i visoni: lo spillback.

In parole semplici, per spillback si intende il passaggio del virus dall'uomo a un animale e dall'animale nuovamente all'uomo, una infezione di “ritorno” che nasconde molteplici insidie. Che una persona positiva al coronavirus SARS-COV-2 possa infettare gli animali lo dimostrano i molteplici casi rilevati negli ultimi mesi. Secondo la ricerca italiana “Cross-Sectional Serosurvey of Companion Animals Housed with SARS-CoV-2–Infected Owners, Italy” guidata da scienziati dell'Università di Torino e pubblicata sulla rivista Emerging Infectious Diseases, il 20 percento dei gatti e il 3,2 percento dei cani di pazienti positivi risultavano contagiati a loro volta. Del resto sono diverse le segnalazioni di animali domestici infettati dai padroni con COVID-19. Fortunatamente, al momento, non ci sono prove che i nostri amici a quattro zampe possano reinfettarci, sebbene tale possibilità sia ancora al vaglio degli scienziati. Ciò che preoccupa di più, tuttavia, non è il passaggio del coronavirus agli animali domestici, ma a quelli selvatici. Negli zoo di diversi Paesi sono stati contagiati dai membri dello staff (spesso asintomatici) tigri, leoni, leopardi, gorilla, oranghi, scimpanzé e altre specie. Secondo lo studio “Broad host range of SARS-CoV-2 predicted by comparative and structural analysis of ACE2 in vertebrates” pubblicato su PNAS da scienziati dell'Università della California di Davis, sono oltre 400 le specie di vertebrati suscettibili all'infezione da SARS-CoV-2, a causa delle somiglianze genetiche del recettore ACE-2 con quello umano.

Il rischio principale della diffusione del virus negli animali selvatici è la potenziale e definitiva perdita di controllo, che potrebbe dar vita a una vera e propria panzoozia, come affermato dalla virologa Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida. In questa situazione drammatica il virus circolerebbe liberamente nell'ambiente naturale, continuando ad accumulare mutazioni nelle diverse specie mantenendo la capacità di ripassare all'uomo (lo spillback, appunto), magari attraverso varianti più trasmissibili, aggressive o in grado di eludere gli anticorpi neutralizzanti indotti da vaccini e precedenti infezioni naturali. Uno scenario da incubo, del quale le istituzioni non sembrano comunque particolarmente preoccupate. Eppure il caso degli allevamenti di visoni, in cui si è verificato il primo caso di spillback noto, stanno lì a ricordarcelo. In Danimarca i mustelidi sono stati contagiati dagli allevatori, alcuni dei quali sono stati reinfettati dai visoni con una variante più resistente agli anticorpi. Per evitare “problemi”, le autorità danesi hanno ordinato lo sterminio di tutti i visoni del Paese, oltre 15 milioni di esemplari. Iniziative simili sono state intraprese in Olanda e altrove. Il punto è che migliaia di visoni – costretti a una vita di inferno in gabbie affollate, prima di essere soppressi per le pellicce – scappano ogni anno da questi allevamenti e tornano in natura; nessuno sa se gli animali infetti fuggiti – se ne stimano un centinaio – siano riusciti a trasferire il coronavirus SARS-CoV-2 nel proprio ecosistema, gettando le basi per lo spillback da altre specie o persino per una panzoozia.

Altri virus hanno dimostrato la capacità di passare agevolmente dall'uomo agli animali, come l'ebola alle grandi scimmie, il virus influenzale H1N1 ai pinnipedi (foche e leoni marini) e altri patogeni respiratori ai gorilla di montagna, con esiti spesso fatali. Il coronavirus, diffuso globalmente, può rappresentare anche una minaccia alla conservazione per specie fortemente minacciate, come lo sono le scimmie antropomorfe. “Ci sono due ragioni per cui siamo preoccupati per lo spillback: la conservazione e la salute pubblica”, ha dichiarato a Wired UK la professoressa Anna Fagre dell'Università Statale del Colorado. “Se questo virus si riversa in una specie che è già enormemente minacciata da cose come il cambiamento climatico, la perdita dell'habitat e altri fattori di stress, che tipo di impatto si avrebbe sulla conservazione? E abbiamo visto in passato che è molto più difficile sradicare un patogeno quando ha una riserva naturale”, ha aggiunto la scienziata, che studia da anni i virus negli animali. A rendere particolarmente pericoloso il SARS-CoV-2 è la capacità di accumulare nuove mutazioni e trasmetterle in pochi cicli a diversi animali, come dimostrano alcuni esperimenti nel laboratorio della Fagre. La preoccupazione maggiore, come indicato, è che lo spillback possa coinvolgere gli animali selvatici, meno controllabili e minacciati da altri fattori; ad oggi il fenomeno è stato dimostrato solo negli allevamenti dei visoni e la speranza è che si tratti dell'unico caso della pandemia. Per evitare nuovi casi, chiosano gli esperti, è fondamentale tenere altissima la guardia e mantenere il distanziamento anche dalla fauna.

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