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Una nuova “baia della morte” dove massacrare i delfini potrebbe sorgere in Norvegia

Il parlamento del popolo lappone (o Sami) ha votato all’unanimità un disegno di legge per introdurre la caccia legalizzata a delfini e focene. La proposta dovrà essere valutata dal governo norvegese, uno dei pochissimi al mondo a praticare la caccia commerciale alle balene. Il rischio è la nascita di una nuova “baia della morte”, come quelle di Taiji e delle isole Faroe.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Sea Shepherd
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Una nuova “baia della morte” dove massacrare i delfini potrebbe presto sorgere tra i fiordi della Norvegia. Il parlamento del popolo lappone o Sami, infatti, ha recentemente votato all'unanimità un disegno di legge per introdurre la cattura e l'uccisione legalizzata di delfini e focene, piccoli cetacei della famiglia Phocoenidae. La proposta dovrà essere analizzata nel dettaglio dal governo norvegese, ma il rischio che venga accettata sotto il profilo della “caccia tradizionale” per scopi alimentari è estremamente elevato. Del resto la Norvegia è l'unico Paese assieme a Islanda e Giappone a perpetrare l'atroce caccia commerciale ai danni delle balene, dunque non dovrebbe essere moralmente frenata ad avallare la mattanza dei delfini. Senza contare che i piccoli cetacei odontoceti non sono tutelati dalla Commissione Internazionale per la Caccia alle Balene (IWC).

Taiji del nord. Tra i fiordi della Norvegia settentrionale potrebbero nascere baie della morte molto simili a quella giapponese di Taiji, una piccola cittadina della prefettura di Wakayama, dove a partire dal primo settembre vengono intrappolati e uccisi migliaia di delfini. Alcuni di essi vengono invece “impacchettati” e spediti ai parchi acquatici di tutto il mondo sotto lauti compensi. La famigerata baia di Taiji è conosciuta in tutto il mondo grazie al film-documentario vincitore del premio Oscar “The Cove”. Un altro esempio calzante è quello delle coste delle isole Faroe, dove ogni anno vengono brutalmente massacrati globicefali e delfini in seno alla caccia tradizionale chiamata “grindadrap”. Orrende le immagini dei cetacei terrorizzati mentre vengono decapitati senza pietà, tra grida e risate che si perdono in un lordo mare rosso sangue.

Massacri legalizzati. Diversi popoli indigeni dell'Alaska, del Canada, della Groenlandia e di altre parti del mondo già catturano e uccidono quote prefissate di delfini e focene, sempre con la scusa della caccia tradizionale. Ma in alcuni casi chi massacra questi animali ha "fiutato l'affare" e ha iniziato a vendere la carne di cetaceo a supermercati e a negozi di souvenir, per attrarre turisti desiderosi di sperimentare l'esotica pietanza. Tutto ciò non ha nulla a che vedere col sostentamento di piccole comunità ancorate a tradizioni secolari.

Nessuna necessità. Il popolo sami, che vive nella regione della Fennoscandia (un'area geografica che abbraccia parte della Norvegia, della Finlandia e della Svezia), non ha assolutamente bisogno di carne di delfino per sostenersi; secondo alcuni si tratterebbe di una proposta legata alla recente diserzione del Giappone dalla IWC, decisa per iniziare a cacciare le balene in modo apertamente commerciale (fino ad oggi si è “nascosto” dietro la scusa della ricerca scientifica). La speranza è che la proposta dei lapponi venga bocciata dal governo norvegese, ma le premesse non sono icoraggianti. Per questo sono state avviate due petizioni (qui e qui) per cercare di bloccare la mattanza prima che abbia inizio. Nel frattempo l'Islanda ha annunciato che intende uccidere 2mila balene nei prossimi cinque anni, mentre migliaia di delfini restano uccisi ogni anno a causa dei pescherecci francesi. Uno scenario drammatico per la conservazione dei cetacei, tra gli animali sociali più intelligenti e complessi del pianeta, più simili a noi di quanto possiamo immaginare.

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