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Covid 19

Tre leopardi delle nevi positivi al coronavirus: contagiati dal custode di uno zoo

Il dipendente di uno zoo di Lousiville positivo al coronavirus ma asintomatico ha contagiato tre magnifici leopardi delle nevi. Si tratta della sesta specie infettata involontariamente dall’uomo col patogeno, dopo cani, gatti, tigri, leoni e visoni. I felini hanno tosse secca e qualche problema di respirazione, ma i sintomi sono lievi.
A cura di Andrea Centini
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Tre esemplari di leopardo delle nevi (Panthera uncia) sono stati infettati col coronavirus SARS-CoV-2 dal custode di uno zoo americano. I tre magnifici felini, due maschi e una femmina chiamati Kimti, Neecee e Meru, presentano alcuni caratteristici sintomi dell'infezione respiratoria, come tosse secca e “fiato corto”, tuttavia sono lievi e le loro condizioni dovrebbero migliorare nel giro di pochi giorni. Com'è noto da diversi studi, infatti, i felini (grandi e piccoli) sono particolarmente suscettibili all'infezione, poiché il coronavirus si replica bene nelle alte vie respiratorie di questi animali; fortunatamente sperimentano una malattia meno grave di quella che può sviluppare l'essere umano.

Ad annunciare la positività dei tre leopardi delle nevi, una specie minacciata e classificata con codice VU (vulnerabile) nella Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), il direttore dello zoo di Louisville (Kentucky) John Walczak, che ha voluto rassicurare tutti con un video pubblicato su Facebook. Come indicato, a infettarli è stato un dipendente dello zoo, risultato positivo al tampone oro-rinofaringeo da asintomatico. L'uomo è riuscito a infettare i leopardi nonostante i rigidi protocolli di sicurezza previsti dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) americani e dal Louisville Metro Health and Wellness. I custodi possono avvicinarsi agli animali solo indossando mascherine e altri dispositivi di protezione individuale, inoltre ogni mattina tutto il personale dello zoo viene sottoposto a screening sanitario, e tutti coloro che presentano malesseri sono invitati a restare (o tornare) a casa.

Come specificato in un comunicato stampa del giardino zoologico, dopo la scoperta della positività dell'uomo e l'emersione della sintomatologia nei felini, si è deciso di prelevare i campioni fecali dalle gabbie, che sono stati fatti analizzare lo scorso 4 dicembre presso il Veterinary Diagnostic Laboratory del College di Medicina Veterinaria dell'Università dell'Illinois. In seguito al riscontro della positività lo staff dello zoo ha deciso di tenere Kimti, Neecee e Meru in quarantena fin quando non saranno completamente guariti. Ad oggi è comunque considerato basso il rischio che felini contagiati possano infettare l'uomo.

Curiosamente i leopardi delle nevi non sono i primi grandi felini infettati dal coronavirus; ad aprile furono trovati positivi tigri e leoni di uno zoo del Bronx, anche in quel caso infettati da un custode. Al momento sono sei le specie animali infettate involontariamente dall'uomo; oltre a quelle già citate ci sono infatti anche i gatti, i cani (che si infettano poco e male) e soprattutto i visoni, che invece possono sviluppare la forma grave della COVID-19 e morire per essa. A migliaia sono deceduti negli allevamenti in varie parti del mondo – anche a causa dell'affollamento delle gabbie in cui vengono imprigionati -, e poiché sono stati in grado di ripassare l'infezione all'uomo, persino in una forma mutata, alcuni governi hanno preso la drastica decisione di ucciderne a milioni. Le mattanze peggiori si sono verificate in Danimarca, con circa 17 milioni di animali uccisi, e nei Paesi Bassi.

La circolazione del coronavirus negli animali potrebbe dar vita a una pericolosa panzoozia, come sottolineato dalla virologa Ilaria Capua in uno studio pubblicato recentemente, e il rischio che si possa perdere il controllo del patogeno non è affatto da sottovalutare. Basti pensare che almeno un centinaio di visoni infettati sono riusciti a scappare dagli allevamenti danesi, e non si può escludere al 100 percento che non possano trasferire il virus ad altri animali selvatici. Creare nuovi serbatoi in natura permetterebbe al virus di mutare e magari di tornare all'uomo in una forma resistente al vaccino, pertanto è necessario vigilare e impedire il più possibile che il patogeno passi agli animali, per il benessere della fauna selvatica e nostro.

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