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Scoperte microplastiche nella placenta umana per la prima volta: quali sono i rischi

Analizzando sei placente umane attraverso una sofisticata tecnica di laboratorio, un team di ricerca italiano guidato da scienziati dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma ha scoperto per la prima volta la contaminazione da microplastiche. Sono stati identificati 12 frammenti, tutti pigmentati. Ad oggi non sono ancora noti gli effetti sulla salute del bambino, ma gli studiosi sono preoccupati.
A cura di Andrea Centini
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Scienziati italiani hanno identificato microplastiche all'interno della placenta umana per la prima volta nella storia della ricerca. Ad agosto un altro pionieristico studio dell'Università dell'Arizona aveva scoperto frammenti di materiali plastici in tessuti e organi umani, come fegato, polmoni, milza e reni. Ora sappiamo che possono passare anche da madre a figlio durante la gravidanza, con un impatto sulla salute ancora sconosciuto ma potenzialmente severo, tenendo presente che questi composti potrebbero essere in grado di influenzare lo sviluppo del sistema immunitario, oltre che il metabolismo dei grassi e altri meccanismi fisiologici.

A fare questa nuova, drammatica scoperta è stato un team di ricerca tutto italiano guidato da scienziati dell'Ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli di Roma, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente dell'Università Politecnica delle Marche, del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell'ASST Bergamo Est – Ospedale Bolognini e dell'Università di Pavia. Gli scienziati, coordinati dal professor Antonio Ragusa, direttore del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia del nosocomio romano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato le placente di sei donne tra i 18 e i 40 anni in salute, che hanno portato avanti una gravidanza fisiologicamente normale.

Ragusa e colleghi hanno sottoposto i tessuti prelevati a microspettroscopia di Raman, la stessa tecnica adottata dagli scienziati dell'Università dell'Arizona, e hanno individuato dodici frammenti plastici in quattro placente. Nello specifico, hanno identificato minuscoli “pezzetti” di forma sferica e irregolare tra i 5 e i 10 micrometri (un micrometro è un milionesimo di metro). Tutti i frammenti plastici con un diametro al di sotto dei 5 millimetri rientrano nella categoria delle microplastiche, e sono derivati dalla frammentazione di quelli più grandi dispersi nell'ambiente, ma che utilizziamo anche per contenere gli alimenti e imballare oggetti. Dei 12 frammenti, 5 sono stati trovati nella porzione fetale della placenta; 4 in quella materna e i restanti 3 nelle membrane corioamniotiche. I campioni sono stati analizzati nel dettaglio e sono risultati essere tutti pigmentati; tre erano di polipropilene, un polimero termoplastico utilizzato ad esempio nelle bottiglie di plastiche, nelle confezioni dei cibi e in numerosi altri prodotti per la cura personale (dai dentifrici ai cosmetici) e industriali.

Come indicato, al momento non sono ancora noti gli effetti delle microplastiche sull'organismo umano, ma gli autori dello studio sono preoccupati per la loro presenza nella placenta. “I rischi per la salute dei bambini che già alla nascita hanno dentro di sé delle microplastiche ancora non si conoscono, bisogna continuare a fare ricerca. Ma già sappiamo da altri studi internazionali che la plastica per esempio altera il metabolismo dei grassi. Riteniamo probabile che in presenza di frammenti di microplastiche all'interno dell'organismo la risposta del corpo, del sistema immunitario, possa cambiare, essere diversa dalla norma”, ha dichiarato all'ANSA il professor Ragusa. “Con la presenza di plastica nel corpo viene turbato il sistema immunitario che riconosce come ‘self' (proprio) anche ciò che non è organico. È come avere un bimbo cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche. Le madri sono rimaste scioccate”, ha aggiunto lo scienziato.

Ogni anno gettiamo nei mari 8 milioni di tonnellate di plastica, parte dei quali si degrada in microplastiche e finisce nella catena alimentare. Si stima che ve ne siano oltre 14 milioni soltanto nei fondali. Microplastiche sono state individuate in tutti i prodotti ittici analizzati in uno studio internazionale, mentre in base a una ricerca condotta dal WWF e l'Università di Newcastle ne ingeriamo 250 grammi ogni anno, pari a un abbondante piatto di pasta. La plastica rappresenta uno dei principali inquinanti prodotti dall'uomo e se non ridurremo la produzione e l'utilizzo continueremo a danneggiare in modo irrimediabile l'ambiente e di riflesso anche noi stessi. Come sottolineato dal professor Ragusa, le principali vie di ingresso delle microplastiche nel nostro organismo sono la respirazione e l'alimentazione. I dettagli della ricerca “Plasticenta: First evidence of microplastics in human placenta” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Environment International.

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