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Covid 19

Perché una pillola anti Covid per prevenire e curare l’infezione può farci tornare alla normalità

In questo momento ci sono tre promettenti farmaci in fase di sperimentazione che potrebbero rivoluzionare la lotta alla pandemia di COVID-19, gli antivirali molnupiravir, PF-07321332 e AT-527. Tutti e tre possono essere somministrati per via orale (in comode pillole) e puntano ad abbattere la replicazione del coronavirus SARS-CoV-2. I risultati su sicurezza ed efficacia sono attesi nei prossimi mesi. Ecco perché assieme ai vaccini possono aiutarci a uscire dall’incubo in cui siamo precipitati.
A cura di Andrea Centini
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I vaccini anti Covid ci stanno aiutando a uscire dalla pandemia nella quale siamo finiti da quasi due anni, grazie alla significativa efficacia nel prevenire l'infezione e soprattutto nell'abbattere il rischio di sviluppare la forma grave della COVID-19 o di morire per essa. Tuttavia i vaccini non sono distribuiti equamente a livello mondiale e vi sono ancora tantissime persone che si contagiano, finiscono in ospedale e muoiono a causa del coronavirus SARS-CoV-2. Alla luce di questa premessa, un farmaco antivirale facile da distribuire, che si assume per via orale come una comunissima pillola, in grado sia di prevenire il contagio in chi è stato esposto al virus (ad esempio chi ha un famigliare malato) che di evitare l'aggravamento dei sintomi se preso nella fase precoce dell'infezione, può davvero rivoluzionare la lotta al patogeno, permettendoci di tornare finalmente alla normalità pre-pandemica.

Al momento ci sono tre promettenti farmaci in sperimentazione che potrebbero portarci proprio a questa svolta, qualora si dimostrassero sicuri, ben tollerati ed efficaci come emerso dalle indagini precliniche e dai primi test clinici. Essi sono il molnupiravir di Ridgeback Biotherapeutics e Merck & Co., un antivirale originariamente sviluppato per combattere l'influenza ma efficace contro un ampio ventaglio di patogeni; l'AT-527 di Atea Pharmaceuticals e Roche; e la pillola PF-07321332 di Pfizer, recentemente entrata in studi clinici di Fase 2 / 3. Il primo e il secondo tecnicamente sono inibitori dell’RNA polimerasi virale, ovvero dell’enzima che permette la replicazione del virus, mentre la pillola di Pfizer colpisce l'enzima proteasi che è responsabile della produzione di proteine del SARS-CoV-2. Il molnupiravir, ad esempio, è noto per modificare l'RNA del patogeno pandemico, inducendo errori di copiatura durante il processo di replicazione e dunque impedendone la riproduzione e la diffusione nell'organismo. In linea di principio, tutti e tre i farmaci antivirali sperimentali puntano ad abbattere la carica virale del paziente; ad accorciare il periodo di infezione; ad evitare che la malattia possa evolvere verso una forma grave e a prevenire una risposta immunitaria esagerata, come la famigerata tempesta di citochine, che può essere più pericolosa per la vita dei pazienti della COVID-19 stessa.

“Gli antivirali orali hanno il potenziale non solo di ridurre la durata della sindrome da COVID-19, ma hanno anche il potenziale di limitare la trasmissione alle persone della tua famiglia se sei malato”, ha dichiarato alla CNN il professor Timothy Sheahan, docente di Virologia presso l'Università della Carolina del Nord di Chapel Hill e tra i principali luminari che hanno permesso lo sviluppo di queste promettenti terapie. Ad oggi c'è un solo antivirale approvato contro la COVID-19, il Remdesivir, tuttavia va somministrato per via endovenosa e ai pazienti già ricoverati in ospedale, dunque in una fase avanzata di malattia. Il molnupiravir, il PF-07321332 e l'AT-527 possono invece essere racchiusi in una comoda pillola da somministrare un paio di volte al giorno per alcuni giorni – da 5 a 10 in base alle stime -, anche a chi sta bene ed è stato semplicemente esposto al virus, come appunto qualcuno che ha un famigliare malato o gli studenti di una classe con un compagno malato. Non a caso lo studio di Fase 2 / 3 EPIC-PEP (Evaluation of Protease Inhibition for COVID-19 in Post-Exposure Prophylaxis) della pillola di Pfizer punta a coinvolgere fino a 2.660 persone che hanno un membro del proprio nucleo famigliare contagiato dal SARS-CoV-2. In un altro studio avviato all'inizio di settembre, invece, la pillola viene somministrata (in combinazione con una piccola dose di ritonavir) a chi è contagiato ma non ha sintomi severi, non è ricoverato soprattutto non rischia la progressione verso la malattia grave, dunque non è anziano e non ha comorbilità o altre condizioni considerate a rischio. Anche gli altri due farmaci sono coinvolti in studi analoghi, con l'obiettivo di verificarne l'effettiva efficacia preventiva e protettiva.

I primi risultati dovrebbero arrivare entro la fine dell'anno, come previsto dal dottor Carl Dieffenbach, direttore della Divisione AIDS presso l'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (NIAID): "Penso che avremo risposte su ciò di cui sono capaci queste pillole nei prossimi mesi". In caso di esito positivo i tre farmaci potrebbero ricevere l'approvazione per l'uso di emergenza in tempi rapidissimi ed essere distribuiti in modo altrettanto rapido in tutto il mondo. Delle comuni pillole, infatti, non hanno bisogno di seguire la catena del freddo come i delicati vaccini. Tutti coloro che risulteranno positivi al tampone oro-rinofaringeo potrebbero ricevere la prescrizione di queste pillole e questo passaggio potrebbe chiudere definitivamente la partita con la parte più drammatica della pandemia. Ovviamente i farmaci non vanno assolutamente a sostituire i vaccini, un pilastro della prevenzione che negli ultimi mesi hanno salvato un numero enorme di vite umane, permettendoci al contempo di riconquistare molte libertà.

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