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L’integrazione di Vitamina D nei pazienti Covid carenti può ridurre i rischi di ventilazione e morte

Mettendo a confronto i casi di pazienti Covid con carenza di Vitamina D cui è stato somministrato un integratore con altri che non lo hanno ricevuto, un team di ricerca americano guidato da scienziati del Montefiore Health System ha dimostrato che l’integrazione può ridurre il rischio di ventilazione meccanica e morte dopo il ricovero.
A cura di Andrea Centini
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I pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 con carenza di vitamina D e ricoverati in ospedale, se ricevono un'integrazione del prezioso pro-ormone liposolubile possono beneficiare di una riduzione del rischio di ventilazione meccanica e di morire per l'infezione. Nel caso specifico, a offrire questa protezione sarebbe un'integrazione di almeno mille unità settimanali in chi presenta una carenza acclarata (come sottolineato dall'Istituto Humanitas, il fabbisogno giornaliero medio di vitamina D è di 400 unità al giorno, tuttavia si può arrivare anche a mille “in presenza di fattori di rischio e deficit”).

A determinare che integrare la vitamina D nei pazienti Covid carenti può offrire benefici contro complicanze e morte è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Montefiore Health System e dell'Albert Einstein College of Medicine nel Bronx, Stato di New York. Gli scienziati, coordinati dalla dottoressa Corinne Levitus, specialista presso la divisione di Endocrinologia, Diabete e Metabolismo del Montefiore Medical Center, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto un'indagine su centinaia di pazienti Covid di cui erano noti i livelli di vitamina D, misurati fino a tre mesi prima del contagio e del ricovero in ospedale. Come sottolineato dalla dottoressa Levitus e colleghi in un comunicato stampa, la ricerca medica ha dimostrato che l'integrazione con vitamina D può avere la capacità di prevenire l'infiammazione e altre patologie respiratorie, tuttavia non è ancora chiaro il legame con la COVID-19, benché diversi studi abbiano trovato un'associazione positiva tra livelli adeguati di vitamina D (in realtà un insieme di 5 vitamine differenti) e rischi minori di complicanze, ospedalizzazione e morte.

Gli autori dello studio hanno analizzato i casi di circa 130 pazienti con COVID-19 di cui erano noti bassi livelli di vitamina D prima del ricovero; mettendo a confronto quelli che hanno ricevuto l'integrazione da 1.000 unità al mese con quelli che non l'hanno ricevuta, è emerso che i primi avevano meno probabilità di aver bisogno della ventilazione meccanica e di morire dopo il ricovero, sebbene – come specificato dagli autori dello studio – le differenze non sono risultate statisticamente significative. “Anche se non siamo stati in grado di mostrare un legame definitivo con la COVID-19 grave, è chiaro che i pazienti con poca vitamina D dovrebbero ricevere un'integrazione non solo per la salute delle ossa, ma anche per una protezione maggiore contro la COVID-19 grave”, ha dichiarato la professoressa Levitus. “Ci auguriamo che questa ricerca incoraggi i medici a discutere l'aggiunta dell'integratore con i propri pazienti che hanno poca vitamina D, in quanto ciò potrebbe ridurre le probabilità che le persone sviluppino la COVID-19 grave”, ha aggiunto la scienziata.

Una recente ricerca condotta da scienziati dell’Università di Chicago su cinquemila pazienti ha dimostrato che coloro che avevano concentrazioni di Vitamina D uguali o superiori a 40 nanogrammi per millilitro presentavano un rischio di contagio da SARS-CoV-2 inferiore, in particolar modo se neri. 30 nanogrammi per millilitro è considerata una soglia sufficiente di Vitamina D negli Stati Uniti, benché i valori possano variare sensibilmente da Paese a Paese. Lo studio “Vitamin D sufficiency, a serum 25-hydroxyvitamin D at least 30 ng/mL reduced risk for adverse clinical outcomes in patients with COVID-19 infection” condotto da ricercatori del Centro Medico dell'Università di Boston ha determinato che livelli adeguati di Vitamina D riducono il rischio di complicanze come la tempesta di citochine e la desaturazione dell'ossigeno nei pazienti Covid, mentre uno studio dell'Università di Barcellona ha rilevato un calo significativo della mortalità e dell'ospedalizzazione nei pazienti trattati con un metabolita della vitamina D3, il calcifediolo. I dettagli della nuova ricerca sono stati presentati durante l'ENDO 2021, il meeting annuale per la ricerca endocrinologica che quest'anno si sta tenendo online per via dell'emergenza coronavirus.

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