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Covid 19

La vitamina D riduce il rischio di complicanze e morte per COVID-19: lo dimostra un nuovo studio

Analizzando i dati di oltre duecento pazienti ricoverati per COVID-19, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Boston ha dimostrato che livelli adeguati di vitamina D riducono il rischio di sviluppare complicanze – come la tempesta di citochine – e di morire per l’infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2.
A cura di Andrea Centini
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Avere livelli adeguati di vitamina D sembra essere un fattore protettivo contro l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, e sempre più studi stanno giungendo a questa conclusione. Nello specifico, livelli sufficienti di questa proteina sarebbero associati a una sensibile riduzione del rischio di sviluppare complicanze più serie della COVID-19, l'infezione causata dal patogeno emerso in Cina, come il crollo delle concentrazioni di ossigeno e la perdita di coscienza. La vitamina D ridurrebbe anche il rischio di sviluppare la famigerata “tempesta di citochine”, una reazione spropositata del sistema immunitario in risposta all'invasione delle particelle virali, che può avere conseguenze più gravi dell'infezione stessa, fino al decesso del paziente. In definitiva, la vitamina ridurrebbe il rischio di morte per COVID-19.

A ribadire questo concetto – già emerso da altre indagini – è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Centro Medico dell'Università di Boston, che hanno collaborato con i colleghi del Multiple Sclerosis Research Center, Neuroscience Institute dell'Università di Scienze Mediche di Teheran e dell'Ospedale Sina (Iran). I ricercatori, coordinati dal professor Michael F. Holick, docente presso la Sezione di Endocrinologia, Nutrizione, Diabete e Gestione del Peso dell'ateneo del Massachusetts, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati ospedalieri di 235 pazienti ricoverati per COVID-19 nei mesi scorsi.

Per determinare il livello di vitamina D di ciascun paziente sono state analizzate le concentrazioni ematiche di 25-idrossivitamina D, ritenute sufficienti quando erano di almeno di 30 nanogrammi per millilitro (ng/mL). Durante il periodo di follow-up, Holick e colleghi hanno analizzato diversi parametri clinici nei pazienti coinvolti: dalla gravità dell'infezione alla necessità di ricorrere alla somministrazione di ossigeno per combattere le difficoltà respiratorie, passando per la perdita di coscienza sino alla morte. Gli scienziati hanno misurato anche i livelli di proteina C-reattiva e dei linfociti, che gli scienziati utilizzano rispettivamente per per valutare lo status infiammatorio e l'efficienza della risposta immunitaria all'infezione.

Ebbene, incrociando tutti i dati è emerso che tra i pazienti con età superiore ai 40 anni, chi aveva livelli adeguati di 25-idrossivitamina D presentava una probabilità di morire per COVID-19 del 51,5 percento inferiore rispetto ai pazienti che avevano livelli carenti o insufficienti (inferiori a 30 ng/mL). Tra tutti i pazienti coinvolti nello studio il 74 percento aveva sviluppato una grave infezione da COVID-19, e solo il 32,8 presentava livelli sufficienti di vitamina D. Dei pazienti con più di 40 anni con livelli sufficienti di vitamina D è deceduto il 9,7 percento, contro il 20 percento di quelli con livelli carenti o insufficienti. Livelli adeguati della vitamina sono stati associati anche a una minore concentrazione della proteina C-reattiva (un marker infiammatorio) e a un numero maggiore di linfociti T; ciò suggerisce che la vitamina D riesca in qualche modo a modulare la risposta immunitaria, contrastando il rischio di tempesta di citochine.

“Questo studio fornisce prove dirette che la sufficienza di vitamina D può ridurre le complicazioni, inclusa la tempesta di citochine (rilascio di troppe proteine nel sangue troppo rapidamente ) e infine la morte da COVID-19”, ha sottolineato il professor Holick in un comunicato stampa. In una precedente indagine condotta dallo stesso team di ricerca è stato dimostrato che livelli adeguati di vitamina D possono ridurre del 54 percento i rischi di contrarre l'infezione, mentre lo studio “Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results” pubblicato da scienziati dell'Università di Chicago (Illinois) ha evidenziato che le probabilità di risultare positivi al coronavirus erano di 1,77 volte superiori in chi aveva livelli carenti della vitamina D rispetto a chi aveva livelli adeguati.

Il professor Holick e colleghi sottolineano che la carenza di vitamina D è molto diffusa nella popolazione, soprattutto nei mesi invernali (dato che la principale fonte è l'esposizione alla luce solare), pertanto suggeriscono che tutti dovrebbero assumere un integratore della vitamina per ridurre il rischio di contagio e complicanze da COVID-19. I dettagli della ricerca americana-iraniana “Vitamin D sufficiency, a serum 25-hydroxyvitamin D at least 30 ng/mL reduced risk for adverse clinical outcomes in patients with COVID-19 infection” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica PLOS ONE.

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