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Covid 19

Diverse varianti del coronavirus stanno sviluppando mutazioni con capacità di eludere i vaccini

Come tutti i virus anche il coronavirus SARS-CoV-2 muta naturalmente replicandosi nell’ospite (l’essere umano) e diffondendosi, e questo processo sta dando vita a nuove varianti che preoccupano esperti e istituzioni. Quelle sudafricana, brasiliana e inglese hanno infatti sviluppato una mutazione che le renderebbe meno sensibili ad anticorpi e vaccini. Le case farmaceutiche potrebbero dover aggiornare i farmaci per migliorarne l’efficacia.
A cura di Andrea Centini
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Particelle di coronavirus su cellule coltivate in laboratorio. Credit: NIAID-RML
Particelle di coronavirus su cellule coltivate in laboratorio. Credit: NIAID-RML
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L'avvio della più grande campagna vaccinale nella storia dell'umanità rappresenta un passo fondamentale per vincere la battaglia contro la pandemia di COVID-19, ma sui primi, incoraggianti segnali che giungono da varie parti del mondo sta aleggiando lo spettro delle varianti mutate del coronavirus SARS-CoV-2. Sin da quando il patogeno è emerso a Wuhan, del resto, tra le principali preoccupazioni degli esperti vi era proprio quella dell'accumulo di mutazioni in grado di modificarne le caratteristiche fondamentali, come la trasmissibilità, la virulenza-aggressività, la sensibilità agli anticorpi, la durata dell'immunità e la capacità di eludere i vaccini. Che un virus muti replicandosi nell'ospite – in questo caso l'essere umano – è infatti del tutto normale, così come l'adattamento ai “sistemi di difesa” messi sul campo per arginarne la diffusione. Il patogeno evolve naturalmente attraverso mutazioni casuali (originate da errori nel processo di copia) e la selezione fa il resto, privilegiando i lignaggi resistenti. Quelli in grado di resistere agli anticorpi prodotti da precedenti infezioni o dai vaccini sono naturalmente tra i più avvantaggiati, e a un anno dall'avvio della pandemia sembra che diverse varianti stiano sviluppando – in modo del tutto indipendente – mutazioni che gli conferirebbero tale capacità.

Gli studi sulle cosiddette varianti sudafricana, brasiliana e inglese sono solo agli inizi e gli scienziati non le conoscono ancora sufficientemente bene per trarre conclusioni definitive, ma in tutte e tre è emersa una mutazione che avrebbe la capacità di rendere meno efficaci i vaccini già approvati per l'uso di emergenza, oltre che quelli in procinto di ottenere il via libera dalle autorità regolatorie. Si tratta della mutazione E484K posizionata sulla proteina S o Spike, la glicoproteina a forma di ombrellino sul guscio lipidico esterno (pericapside o peplos) del coronavirus sfruttata come “grimaldello biologico”; grazie ad essa, infatti, il virus si lega al recettore ACE-2 sulle cellule umane e ne scardina la parete cellulare, permettendo l'inserimento dell'RNA virale. Questo processo è alla base del meccanismo di replicazione e della conseguente infezione (COVID-19). Non è un caso che i vaccini in sviluppo puntino a colpire proprio la proteina S, ma se questa muta in modo significativo, come si sta verificando, la loro efficacia potrebbe essere sensibilmente ridotta. Lo dimostrano i risultati di due recenti studi condotti in Sudafrica con i vaccini candidati NVX-CoV2373 della società statunitense Novavax e l'Ad26.COV2.S del colosso Johnson & Johnson. Il primo ha mostrato un'efficacia dell'89,3 percento in Gran Bretagna e solo del 49,4 percento in Sudafrica; il secondo del 72 percento negli Stati Uniti e del 57 percento in Sudafrica. Secondo gli scienziati, questa ridotta efficienza sarebbe legata proprio alla circolazione della variante sudafricana (B.1.351 / 501Y.V2), meno sensibile agli anticorpi delle preparazioni per via della suddetta mutazione.

Ma la mutazione E484K avrebbe reso molto meno efficace anche la protezione immunitaria scaturita dall'infezione naturale. A Manaus, in Brasile, dove circola la variante brasiliana (B.1.1.28 / P1 / P2 ), si sta registrano un impressionante boom di contagi, nonostante fosse stata duramente colpita già durante la prima ondata. In pratica, il virus starebbe reinfettando le persone grazie alla capacità di eludere gli anticorpi prodotti in precedenza. E ora la mutazione E484K inizia a presentarsi anche nella variante inglese B.1.1.7 / VOC 202012/01, dato che gli esperti del COVID-19 Genomics UK (COG-UK) e della Public Health England (PHE) l'hanno identificata in 11 sequenze genomiche virali di pazienti COVID contagiati da questo ceppo. Secondo il professor Julian Tang, virologo clinico e docente presso l'Università di Leicester, l'emersione della mutazione E484K nella variante inglese potrebbe essere anche frutto di un'infezione combinata, sebbene si tratti dell'ipotesi meno probabile. “L'acquisizione potrebbe essere dovuta alla ricombinazione con una delle varianti del virus sudafricana/brasiliana che potrebbe aver co-infettato la stessa cellula, come vediamo con diversi virus influenzali. Ma questo è più raro con i coronavirus”, ha sottolineato il professor Lang. “Quindi – ha aggiunto l'esperto – è più probabile che sia derivata da una selezione/evoluzione naturale convergente/parallela all'interno della popolazione umana, mentre il virus si adatta a questo nuovo ospite. I virus possono evolversi solo attraverso la replicazione continua”. "È uno sviluppo preoccupante, anche se non del tutto inaspettato", ha sottolineato lo scienziato.

Qualunque sia la causa che ha spinto le varianti a evolvere mutazioni in grado di rendere potenzialmente meno efficaci i vaccini, gli scienziati raccomandano di continuare a rispettare scrupolosamente le misure anti contagio di base, dall'uso delle mascherine al distanziamento sociale, passando per il lavaggio accurato delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico. In questo modo non solo si spezzano le catene dei contagi di qualsivoglia variante e del ceppo originale, ma si riduce anche il rischio che il virus continui a evolvere e sviluppare mutazioni potenzialmente pericolose, permettendo nel frattempo alla campagna vaccinale di fare il suo corso. Naturalmente, qualora saltassero fuori mutazioni in grado di eludere in modo significativo l'efficacia protettiva dei vaccini, sarà necessario aggiornare le preparazioni già disponibili. Non a caso diverse case farmaceutiche sono già a lavoro per “aggiustare il tiro”. Fortunatamente il lavoro da fare è molto minore rispetto a quello condotto fino ad oggi, e nel giro di pochi mesi si potrebbero ottenere nuovi vaccini altamente efficaci anche contro le varianti emergenti. L'ostacolo principale sarà la necessità di sperimentarle per determinarne la sicurezza, processo indispensabile per ottenere il via libera da parte delle autorità regolatorie.

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