Cos’è una panzoozia e perché la diffusione del coronavirus negli animali è un serio rischio
La COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, è una cosiddetta zoonosi, cioè una malattia trasmessa da un animale all'uomo. È noto che il patogeno in origine circolava nei pipistrelli, come moltissimi altri coronavirus, ma si ritiene che lo spillover – il salto di specie all'uomo – sia avvenuto attraverso un ospite “serbatoio” intermedio, verosimilmente il pangolino. Non c'è da stupirsi che anche la pandemia di COVID-19 che ha messo in ginocchio il mondo intero derivi da animali selvatici, dato che in base a quanto indicato dal WWF lo è il 60 percento delle patologie emergenti e il 75 percento delle malattie umane ad oggi conosciute. Naturalmente gli animali non hanno alcuna colpa in tutto questo; è solo a causa della distruzione degli habitat naturali, della caccia spietata alle specie selvatiche e allo sfruttamento illegale delle risorse naturali che entriamo in contatto con virus e altri patogeni che circolano in natura. Quindi la pandemia che stiamo vivendo è solo colpa nostra. Benché si possa immaginare che una malattia potenzialmente letale diffusa in tutto il mondo possa apparire lo scenario peggiore, in realtà non lo è. Come dichiarato all'Huffington Post dalla virologa di fama internazionale Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, c'è infatti il rischio che la COVID-19 possa trasformarsi in una “panzoozia”. Di cosa si tratta?
In parole semplici, una panzoozia è una malattia infettiva diffusasi in diverse specie animali (o tutte) di un determinato territorio, e ciò aumenta sensibilmente il bacino di individui esposti al rischio di contagio, con tutto ciò che ne consegue in termini di potenziali mutazioni pericolose e controllo della patologia. In pratica, se il coronavirus SARS-CoV-2 dalla popolazione umana saltasse in altri animali – come ha già ampiamente dimostrato di saper fare – e iniziasse a diffondersi tra quelli selvatici, se ne perderebbe inevitabilmente il controllo. Sarebbe una vera e propria catastrofe, considerando che siamo ormai vicinissimi a vaccini ritenuti molto efficaci e sicuri, come quelli di Pfizer e Moderna, benché manchino ancora i risultati conclusivi degli studi clinici di Fase 3. Come spiegato dalla professoressa Capua e dalla sua collega Rania Gollakner nell'articolo “Is COVID-19 the first pandemic that evolvesinto a panzootic?” pubblicato su Rapid Communication, il SARS-CoV-2 ha già infettato numerosi animali, in particolar modo domestici e negli allevamenti. Casi di cani, gatti, tigri e leoni sono già documentati in letteratura scientifica, ma gli animali che preoccupano di più sono i mustelidi come ad esempio i furetti e i visoni.
In questa famiglia di mammiferi carnivori il virus si replica benissimo nelle vie respiratorie, come dimostrato da questo studio cinese, e gli esemplari contagiati sperimentano una malattia non dissimile da quella umana. Comprese infezioni gravi e mortali. Gli eventi più drammatici si sono verificati negli allevamenti di visoni, dove numerosissimi animali si sono ammalati dopo essere entrati in contatto con inservienti positivi. I visoni si sono trasmessi il virus fra di essi, anche a causa della stretta vicinanza nelle gabbie in cui vengono barbaramente imprigionati, e in una dozzina di casi hanno ritrasmesso l'infezione all'uomo. L'aspetto più preoccupante è che il virus, nel nuovo ospite, ha continuato a mutare, e in Danimarca si è sviluppata una variante che in test di laboratorio ha dimostrato una ridotta sensibilità agli anticorpi neutralizzanti. Per evitare che questo pericoloso ceppo potesse prendere piede, le autorità danesi hanno deciso di sopprimere oltre 17 milioni di visoni in tutti gli allevamenti del Paese. Centinaia di migliaia di esemplari erano stati già uccisi anche in Olanda, Stati Uniti, Spagna e altri Paesi, proprio perché si è capito che questi poveri animali, già sottoposti a condizioni inaccettabili, si ammalano come noi.
“Il rischio che il virus circoli negli animali, e soprattutto negli animali selvatici, è che si perda definitivamente il controllo dell’infezione. È impensabile fare sorveglianza e andare a controllare le donnole o le faine nel loro habitat naturale. Il virus chiaramente potrebbe mutare in un’altra specie animale e questo potrebbe minare le nostre possibilità di controllare la pandemia”, ha dichiarato all'Huffington Post la professoressa Capua. Il recente studio “Broad host range of SARS-CoV-2 predicted by comparative and structural analysis of ACE2 in vertebrates” pubblicato su PNAS da un team di ricerca internazionale ha dimostrato che ci sono oltre 400 specie di vertebrati potenzialmente suscettibili all'infezione da coronavirus, a causa della sequenza di amminoacidi nel recettore ACE-2 delle loro cellule, quello che permette al virus di invadere l'organismo. Fra quelli più a rischio vi sono i grandi primati come scimpanzé, gorilla e bonobo (e non è un caso, vista la somiglianza genetica con l'uomo). La diffusione del virus negli animali non solo rappresenterebbe un gravissimo rischio per la biodiversità – alcune specie sono in pericolo critico di estinzione -, ma la panzoozia, come sottolineato dalla Capua, permetterebbe al patogeno di diventare definitivamente incontrollabile.