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Cosa succede al nostro corpo quando riceviamo la terza dose di vaccino anti Covid

Diverse indagini hanno dimostrato che l’efficacia immunitaria dei vaccini anti Covid cala col passare dei mesi, pertanto si stanno già predisponendo strategia per la terza dose, un ulteriore richiamo che probabilmente tutti noi dovremo fare. Ecco cosa succede nel nostro organismo quando riceviamo un booster supplementare.
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A cura di Andrea Centini
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L'obiettivo di qualunque vaccino è prevenire la malattia provocata da agenti patogeni come virus e batteri, esponendoci a una versione “edulcorata” degli stessi (o a una loro componente) affinché il nostro organismo riconosca il nemico e permetta al sistema immunitario di sviluppare le armi per difenderci. Per alcuni vaccini è sufficiente una singola dose per tutta la vita; altri hanno bisogno di uno o più richiami (o booster) nel corso della vita e altri ancora vanno rinnovati praticamente ogni anno, a causa del numero e della mutevolezza dei patogeni che si intendono combattere. È il caso del vaccino antinfluenzale, che abbraccia più antigeni ed è raccomandato all'inizio di ogni stagione fredda, quella in cui i virus respiratori si diffondono con maggiore facilità. Ad oggi tre dei quattro dei vaccini anti Covid approvati dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – l'AstraZeneca, il Moderna e lo Pfizer – di base prevedono due dosi, mentre l'unico monodose è il Johnson & Johnson. Tuttavia, poiché diverse indagini hanno osservato un calo dell'efficacia immunitaria dopo alcuni mesi, si sta già approntando un piano per somministrare alla popolazione (non si sa ancora se a tutti) una terza dose, un vero e proprio richiamo supplementare.

Questa dose aggiuntiva non va tuttavia confusa con la terza dose che si sta somministrando dal 20 settembre in tutta Italia, dedicata a pazienti in “condizione di immunosoppressione clinicamente rilevante” per i quali questa iniezione in più è a completamento del ciclo vaccinale, e non il richiamo periodico che probabilmente tutti noi dovremo fare. Il principio di fondo per cui è necessario un ulteriore booster è quello di mantenere efficiente la risposta del sistema immunitario contro il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia di COVID-19. Come evidenziato dalla ricerca “Neutralizing antibody levels are highly predictive of immune protection from symptomatic SARS-CoV-2 infection” pubblicata sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine, il numero di anticorpi neutralizzanti cala dopo alcuni mesi. Sebbene rimanga elevatissima la protezione contro il ricovero in ospedale e il decesso, scienziati americani dei CDC hanno ad esempio osservato che, per il vaccino Pfizer, dopo 4 mesi dalla seconda dose l'efficacia contro l'ospedalizzazione scende dall'88 al 77 percento. In parole semplici, seppur limitato, il calo nello “scudo immunitario” c'è e ricorrere alla terza dose può essere fondamentale soprattutto per le categorie più a rischio.

Ma cosa succede esattamente nel nostro organismo quando riceviamo questa terza dose? Come indicato, il principio è quello di mantenere efficaci le difese anti Covid; per farlo è necessario stimolare il sistema immunitario mettendolo nuovamente innanzi al nemico (edulcorato o a una sua parte). Nel caso specifico dei vaccini anti Covid, viene innescata una risposta contro la proteina S o Spike del SARS-CoV-2, il "grimaldello biologico" sfruttato dal patogeno per legarsi alle nostre cellule, sfondare la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e avviare il processo di replicazione che determina la malattia. I vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna, ad esempio, contengono l'istruzione genetica della proteina S in filamenti di RNA, che una volta inoculati nel braccio spingono le nostre cellule a produrla e ad esporla sulla superficie. Questo processo richiama l'attenzione del nostro sistema immunitario – che già conosce molto bene il nemico, trattandosi della terza dose – e viene così determinata la produzione di varie cellule alla base delle nostre difese. Vengono prodotte nuove cellule B della memoria che producono gli anticorpi neutralizzanti (immunoglobuline IgG) e nuove cellule T specializzate nel colpire le cellule già infettate dal virus. L'intero meccanismo collauda di nuovo il sistema immunitario e fa innalzare in modo significativo gli anticorpi circolanti contro il patogeno. Ad esempio, recentemente è stato dimostrato che un richiamo per il vaccino monodose di Johnson & Johnson determina un aumento di efficacia fino al 94 percento.

È del tutto naturale che dopo qualche tempo il numero di anticorpi circolanti diminuisca nel flusso sanguigno; se mantenessimo livelli elevatissimi e costanti di queste cellule per tutte le malattie infettive – più o meno gravi – e gli antigeni cui andiamo incontro nel corso della nostra vita, il nostro sarebbe un fluido decisamente troppo denso e inutile al suo scopo. È per questo che conserviamo cellule della memoria (ad esempio nel midollo) pronte a produrre nuovi anticorpi non appena si riaffaccia il nemico. Ma queste cellule, per quanto longeve, generalmente non vanno incontro a mitosi e col passare del tempo diminuiscono in modo significativo, determinando un calo delle prestazioni immunitarie. I richiami o booster, che siano annuali o decennali, rimpinguano anche questo esercito garantendoci una protezione forte e duratura.

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