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Covid 19

L’efficacia del vaccino Covid di Pfizer contro il ricovero in ospedale cala al 77% dopo 4 mesi

Analizzando statisticamente i dati di migliaia di pazienti ospedalizzati tra marzo e agosto di quest’anno, un team di ricerca americano guidato da scienziati dei CDC ha determinato che dopo 4 mesi l’efficacia del vaccino Covid di Pfizer cala al 77% (dall’88 percento). Il vaccino di Moderna risulta invece più stabile, passando dal 93 al 92 percento dopo i 120 giorni. La protezione resta comunque elevatissima e sostanziale per tutti i vaccini Covid approvati.
A cura di Andrea Centini
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I vaccini contro il coronavirus SARS-CoV-2 approvati per l'uso di emergenza dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sono sicuri e molto efficaci nel proteggerci dalla COVID-19, come evidenziato dai risultati degli studi clinici e dalle indagini epidemiologiche, ciò nonostante, come emerso da altre ricerche, tale protezione si riduce col passare del tempo. È per questa ragione che in molti Paesi si sta ragionando sulle terze dosi, da non confondere con le dosi supplementari per i pazienti immunocompromessi (necessarie per completare il ciclo vaccinale di base), ma veri e propri booster/richiami periodici per la popolazione generale, utili per mantenere elevata la risposta immunitaria. Il concetto non è dissimile da quello per cui si fa il vaccino antinfluenzale ogni anno. Ora un nuovo studio americano ha quantificato il calo della protezione dei vaccini anti Covid associato al passare del tempo, determinando ad esempio che dopo quattro mesi l'efficacia del vaccino Comirnaty di Pfizer-BioNTech contro il ricovero in ospedale scende al 77 percento, mentre quella dello Spikevax di Moderna-NIAID resta praticamente stabile, al 92 percento.

A determinare e quantificare la diminuzione nell'efficacia dei vaccini anti Covid è stato un team di ricerca guidato da scienziati del COVID-19 Response Team dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention – Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Medical Center dell'Università Vanderbilt; del College di Medicina dell'Università Texas A&M; della Facoltà di Medicina dell'Università del Colorado; dell'Ospedale Johns Hopkins di Baltimora; del Montefiore Healthcare Center di New York e di moltissimi altri istituti sparsi per gli Stati Uniti. Gli scienziati, coordinati dai professori Natalie J. Thornburg e Manish M. Patel, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di circa 3.700 adulti americani con età uguale o superiore ai 18 anni, tutti ricoverati presso 21 ospedali degli Stati Uniti (in 18 differenti Stati) tra l'11 marzo e il 15 agosto di quest'anno. Facevano tutti parte del programma di monitoraggio Influenza and Other Viruses in the Acutely Ill (IVY). I ricercatori hanno escluso dall'analisi statistica (di tipo caso-controllo) coloro che avevano una immunocompromissione.

Incrociando tutti i dati è emerso che, nell'intero arco temporale preso in considerazione, l'efficacia dei vaccini anti Covid contro il ricovero in ospedale è stata del 93 percento per lo Spikevax di Moderna; dell'88 percento per il Comirnaty di Pfizer e del 71 percento per lo Janssen di Johnson & Johnson. Tra i 14 e 120 giorni dopo la seconda dose l'efficacia del Moderna è rimasta costante al 93 percento, mentre quella dello Pfizer è scesa leggermente al 91 percento. Ma la riduzione più significativa per il Comirnaty è stata osservata dopo i 120 giorni; se infatti quella del Moderna si è assestata al 92 percento, con un solo punto percentuale perduto, la protezione conto il ricovero in ospedale del vaccino di Pfizer-BioNTech ha avuto un calo significativo al 77 percento. Per il vaccino di Johnson & Johnson non è stato possibile fare un'analisi temporale analoga, a causa del basso il numero di partecipanti che lo aveva ricevuto. In un'analisi di laboratorio su campioni di sangue, tuttavia, è stato osservato che i livelli di anticorpi neutralizzanti (IgG) contro la Spike e il dominio di legame (RBS) erano significativamente più bassi nelle persone rispetto ai vaccinati con Moderna o Pfizer-BioNTech.

Secondo gli scienziati dei CDC la differenza nell'efficacia tra i vaccini di Moderna e Pfizer (entrambi si basano sulla tecnologia a RNA messaggero) potrebbe dipendere dal fatto che le iniezioni del primo hanno dosi più elevate, ma anche dalla distanza tra prima e seconda dose, ovvero 28 giorni per il Moderna e 21 per lo Pfizer. Potrebbero essere coinvolti anche fattori nei partecipanti arruolati che non sono stati considerati. Ad ogni modo, entrambi i vaccini continuano a offrire protezione elevatissima contro l'ospedalizzazione anche in questo studio. Le future indagini dovranno naturalmente essere estese a fasce temporali più ampie e stratificate per età, per capire quando e a chi fare il richiamo nel momento migliore possibile.

Va tenuto presente che i risultati sull'efficacia vaccinale emersi sono in contrasto con quelli di altri studi condotti sul farmaco di Pfizer, che avevano rilevato una protezione contro il ricovero in ospedale superiore al 90 percento anche dopo mesi. Ma non tutti gli studi considerano “malattia grave” allo stesso modo. Ciò che è certo è che gli stessi CDC hanno sottolineato che i vaccini anti Covid rappresentano un'arma preziosissima contro la pandemia di COVID-19 e che, nonostante un calo della protezione col passare del tempo, essi offrono comunque una “una protezione sostanziale contro il ricovero in ospedale per COVID-19”. Va infine tenuto presente che la stragrande maggioranza dei pazienti coinvolti nel nuovo studio era anziana, pertanto nelle fasce di età più giovani i risultati potrebbero essere sensibilmente differenti (è noto che nelle persone anziane il sistema immunitario reagisce meno, anche alla stimolazione vaccinale). I dettagli della ricerca “Comparative Effectiveness of Moderna, Pfizer-BioNTech, and Janssen (Johnson & Johnson) Vaccines in Preventing COVID-19 Hospitalizations Among Adults Without Immunocompromising Conditions — United States, March–August 2021” sono stati pubblicati sul portale dei CDC.

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