Cosa succede al nostro corpo quando riceviamo la terza dose di vaccino anti Covid
L'obiettivo di qualunque vaccino è prevenire la malattia provocata da agenti patogeni come virus e batteri, esponendoci a una versione “edulcorata” degli stessi (o a una loro componente) affinché il nostro organismo riconosca il nemico e permetta al sistema immunitario di sviluppare le armi per difenderci. Per alcuni vaccini è sufficiente una singola dose per tutta la vita; altri hanno bisogno di uno o più richiami (o booster) nel corso della vita e altri ancora vanno rinnovati praticamente ogni anno, a causa del numero e della mutevolezza dei patogeni che si intendono combattere. È il caso del vaccino antinfluenzale, che abbraccia più antigeni ed è raccomandato all'inizio di ogni stagione fredda, quella in cui i virus respiratori si diffondono con maggiore facilità. Ad oggi tre dei quattro dei vaccini anti Covid approvati dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – l'AstraZeneca, il Moderna e lo Pfizer – di base prevedono due dosi, mentre l'unico monodose è il Johnson & Johnson. Tuttavia, poiché diverse indagini hanno osservato un calo dell'efficacia immunitaria dopo alcuni mesi, si sta già approntando un piano per somministrare alla popolazione (non si sa ancora se a tutti) una terza dose, un vero e proprio richiamo supplementare.
Questa dose aggiuntiva non va tuttavia confusa con la terza dose che si sta somministrando dal 20 settembre in tutta Italia, dedicata a pazienti in “condizione di immunosoppressione clinicamente rilevante” per i quali questa iniezione in più è a completamento del ciclo vaccinale, e non il richiamo periodico che probabilmente tutti noi dovremo fare. Il principio di fondo per cui è necessario un ulteriore booster è quello di mantenere efficiente la risposta del sistema immunitario contro il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia di COVID-19. Come evidenziato dalla ricerca “Neutralizing antibody levels are highly predictive of immune protection from symptomatic SARS-CoV-2 infection” pubblicata sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine, il numero di anticorpi neutralizzanti cala dopo alcuni mesi. Sebbene rimanga elevatissima la protezione contro il ricovero in ospedale e il decesso, scienziati americani dei CDC hanno ad esempio osservato che, per il vaccino Pfizer, dopo 4 mesi dalla seconda dose l'efficacia contro l'ospedalizzazione scende dall'88 al 77 percento. In parole semplici, seppur limitato, il calo nello “scudo immunitario” c'è e ricorrere alla terza dose può essere fondamentale soprattutto per le categorie più a rischio.
Ma cosa succede esattamente nel nostro organismo quando riceviamo questa terza dose? Come indicato, il principio è quello di mantenere efficaci le difese anti Covid; per farlo è necessario stimolare il sistema immunitario mettendolo nuovamente innanzi al nemico (edulcorato o a una sua parte). Nel caso specifico dei vaccini anti Covid, viene innescata una risposta contro la proteina S o Spike del SARS-CoV-2, il "grimaldello biologico" sfruttato dal patogeno per legarsi alle nostre cellule, sfondare la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e avviare il processo di replicazione che determina la malattia. I vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna, ad esempio, contengono l'istruzione genetica della proteina S in filamenti di RNA, che una volta inoculati nel braccio spingono le nostre cellule a produrla e ad esporla sulla superficie. Questo processo richiama l'attenzione del nostro sistema immunitario – che già conosce molto bene il nemico, trattandosi della terza dose – e viene così determinata la produzione di varie cellule alla base delle nostre difese. Vengono prodotte nuove cellule B della memoria che producono gli anticorpi neutralizzanti (immunoglobuline IgG) e nuove cellule T specializzate nel colpire le cellule già infettate dal virus. L'intero meccanismo collauda di nuovo il sistema immunitario e fa innalzare in modo significativo gli anticorpi circolanti contro il patogeno. Ad esempio, recentemente è stato dimostrato che un richiamo per il vaccino monodose di Johnson & Johnson determina un aumento di efficacia fino al 94 percento.
È del tutto naturale che dopo qualche tempo il numero di anticorpi circolanti diminuisca nel flusso sanguigno; se mantenessimo livelli elevatissimi e costanti di queste cellule per tutte le malattie infettive – più o meno gravi – e gli antigeni cui andiamo incontro nel corso della nostra vita, il nostro sarebbe un fluido decisamente troppo denso e inutile al suo scopo. È per questo che conserviamo cellule della memoria (ad esempio nel midollo) pronte a produrre nuovi anticorpi non appena si riaffaccia il nemico. Ma queste cellule, per quanto longeve, generalmente non vanno incontro a mitosi e col passare del tempo diminuiscono in modo significativo, determinando un calo delle prestazioni immunitarie. I richiami o booster, che siano annuali o decennali, rimpinguano anche questo esercito garantendoci una protezione forte e duratura.