Australia, cosa c’entrano gli incendi con il riscaldamento globale (e i piromani)
Dallo scorso settembre, quando l'emisfero australe è entrato nella primavera, l'Australia è stata investita da un'ondata di incendi devastanti, che in pochi mesi hanno divorato 8,4 milioni di ettari di territorio (un'area estesa quanto l'Austria), ucciso 25 persone e oltre un miliardo di animali selvatici, in base alle stime dell'Università di Sydney. I numeri sono quelli di una vera e propria catastrofe, e sono purtroppo destinati a crescere nelle prossime settimane, tenendo presente che il peggio dovrebbe ancora arrivare. Ma qual è il volano alla base di un simile disastro? Sono davvero i cambiamenti climatici come viene spesso indicato? Oppure possiamo dare la colpa ai duecento “piromani” finiti in manette, come ha fatto (più o meno ingenuamente) qualcuno, togliendo dall'equazione il riscaldamento globale e tutto ciò che esso comporta? Nei prossimi paragrafi proveremo a spiegarvi cosa sta effettivamente succedendo nella “terra dei canguri” e quali sono le vere cause dei roghi.
Incendi in Australia, un fenomeno naturale ma non solo
Gli incendi sono innanzitutto un fenomeno comune in moltissimi Paesi, che si intensificano naturalmente durante le stagioni più calde e secche. In alcuni casi sono eventi naturali talmente ben radicati nella storia evolutiva di piante ed animali che alcune specie li sfruttano a proprio vantaggio. Basti pensare a tre specie di uccelli rapaci che vivono proprio in Australia, il nibbio bruno (Milvus migran), il falco bruno (Falco berigora) e il nibbio fischiatore (Haliastur sphenurus ), note per appiccare volontariamente gli incendi al fine di far uscire allo scoperto le proprie prede. Molte specie vegetali tipiche della peculiare savana australiana, inoltre, contengono al loro interno sostanze altamente infiammabili, e si sono evolute con semi “ignifughi” per rigenerarsi rapidamente dopo il ciclico passaggio delle fiamme. Questi adattamenti al fuoco sono emersi perché gli incendi fanno intimamente parte del ciclo della vita (e della morte) del territorio arido, e fino all'avvento dell'uomo avevano fondamentalmente un solo fattore scatenante: i fulmini. L'uomo non ha fatto altro che amplificare il fenomeno, diventando a sua volta causa dei roghi per molteplici ragioni. Le decine di persone arrestate nel Nuovo Galles del Sud ne sono un chiaro esempio. Non si tratta solo di piromani che hanno avviato deliberatamente un incendio, ma anche di persone che magari hanno lanciato sigarette accese tra le sterpaglie, o che non hanno seguito le norme di comportamento da tenere nei boschi. Dunque i devastanti incendi che stanno divorando l'Australia sono causati da “incendiari” (volontari o meno) e fulmini? Sicuramente questi fattori hanno giocato un ruolo nell'appiccare le fiamme, ma la catastrofe che si sta consumando in questi ultimi mesi ha un'altra spiegazione, più profonda. Perché in circostanze normali, i fulmini, gli incidenti, i comportamenti negligenti e criminali tutti assieme avrebbero determinato roghi nella "media", mentre ciò che si sta verificando da mesi ha una portata praticamente senza procedenti.
Temperature infernali
Alla base della violenza e dell'intensità dei roghi c'è proprio il riscaldamento globale catalizzato dai cambiamenti climatici. Ciò non significa che sono direttamente i cambiamenti climatici ad appiccare le fiamme, ma fanno in modo che incendi “normali” si trasformino in un'apocalisse in grado di uccidere decine di persone, distruggere migliaia di case e sterminare un miliardo di animali. L'Australia sta infatti vivendo uno dei periodi più siccitosi della sua storia, con temperature infernali che hanno stracciato i precedenti record. Il 17 dicembre 2019, in uno degli ultimi giorni della primavera australe, nella terra dei canguri è stato registrato il giorno più caldo di sempre, con una temperatura media di ben 41,9° centigradi e picchi in alcune città che sfioravano i 50° centigradi. Poiché durante l'estate le temperature saranno inevitabilmente più alte, ecco spiegato il motivo per cui si ritiene che il peggio debba ancora arrivare. È lapalissiano che a temperature più elevate fanno capo una siccità maggiore, vegetazione più secca e di conseguenza una peggiore diffusione e propagazione dei roghi. Se all'equazione aggiungiamo il forte vento, capace di far propagare le fiamme a velocità drammatiche tra le chiome degli alberi, si comprende come si possa arrivare a milioni di ettari in fumo in poco più di 4 mesi.
La mano dell'uomo dietro gli eventi naturali estremi
Ma a cosa sono dovute queste temperature così insolitamente elevate? Da una serie di fattori naturali, che sono stati estremizzati proprio a causa dei cambiamenti climatici. Il principale è il Dipolo dell'Oceano Indiano (IOD) o “Niño indiano”. È un'oscillazione termica legata alle temperature superficiali dell'Oceano Indiano, che diventa positiva quando la porzione occidentale della massa d'acqua diventa più calda di quella orientale. Ebbene, da quasi un secolo non si verificava una differenza di temperature così ampia tra la componente Ovest e quella Est dell'Oceano Indiano, tanto che il fenomeno è stato classificato come “estremo” dagli scienziati. A causa di questa condizione così anomala, a Ovest si è determinata una bassa pressione con eventi tempestosi abbondanti; a Est si è palesata invece una persistente alta pressione, alla base della riduzione delle piogge e della prolungata siccità che hanno investito l'Australia. Allo IOD positivo estremo si è aggiunto l'effetto negativo dell'oscillazione antartica (SAM), venti a bassa pressione della regione antartica (gli anti-alisei) che hanno fatto spirare sul Queensland e sul Nuovo Galles del Sud aria calda. Non è un caso che si tratti delle zone più colpite dagli incendi, come mostrano le drammatiche immagini satellitari dell'Australia. È proprio qui che ha perso la vita la maggior parte dei koala (oltre 8mila esemplari), e da dove giungono le immagini dei marsupiali soccorsi dai cittadini. Come indicato, si tratta di fattori naturali che sono stati portati all'estremo dal riscaldamento globale, alimentato dalla costante immissione di gas a effetto serra (il principale è l'anidride carbonica) nell'atmosfera a causa delle attività antropiche. E per comprendere che globalmente stiamo facendo poco o nulla per migliorare la situazione ci sono i dati pubblicati nell'ultimo bollettino dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale: nel 2018 le concentrazioni di CO2 hanno infatti raggiunto la soglia delle 407,8 parti per milione (ppm), superando le 405,5 ppm del 2017.
Le responsabilità del governo Morrison
In tutto questo il governo australiano gioca un ruolo particolarmente negativo. Non solo è uscito dagli Accordi di Parigi sul Clima, che puntano a contenere entro 1,5° centigradi l'aumento delle temperature rispetto all'epoca preindustriale, ma è anche il fanalino di coda per l'impegno al contrasto ai cambiamenti climatici. L'Australia ha infatti “conquistato” il peggior punteggio nel Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 per la politica climatica (emissioni e uso energie rinnovabili). Del resto si tratta del principale estrattore ed esportatore di carbone al mondo, il combustibile fossile per eccellenza – assieme al petrolio – nel mirino di scienziati e ambientalisti. Non c'è dunque da stupirsi che il governo conservatore voglia mantenere “vivo” questo settore economico che dà lavoro a decine di migliaia di persone, per quanto anacronistico e dannoso non solo per l'Australia, ma per il pianeta tutto.
Rischiamo anche in Europa
Come specificato dallo scienziato dell'Università di Sydney Christopher Dickman, l'ecologo che ha stimato il miliardo di animali uccisi dagli incendi, ciò che si sta verificando in queste settimane nella sua terra è un effetto diretto dei cambiamenti climatici, e poiché essi si manifestano prima in Australia che in altre parti del mondo, ciò che stiamo osservando adesso da lontano molto probabilmente lo vivremo in prima persona in futuro. Sibillino è uno studio pubblicato recentemente da un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa; secondo gli autori della ricerca, entro il 2099 i Paesi dell'area mediterranea saranno colpiti da incendi sensibilmente più intensi e distruttivi proprio a causa dei cambiamenti climatici. Insomma, si tratta di un ulteriore campanello d'allarme da parte degli scienziati, che si spera porti a un rapido e significativo cambio di rotta.