Sintomi da stress post-traumatico, rabbia e confusione: gli effetti psicologici della quarantena
Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins, la pandemia di coronavirus ha infettato oltre 600mila persone e ne ha uccise circa 30mila (9mila delle quali soltanto in Italia, che detiene il dato peggiore per numero di vittime). Per far fronte a questa catastrofe sanitaria, numerosi Paesi in tutto il mondo sono stati costretti ad imporre drastiche misure draconiane, limitando le libertà di movimento delle persone con quarantena e il cosiddetto lockdown. In Italia, dallo scorso 11 marzo, in tal senso è entrato in vigore il decreto “Io Resto a Casa” firmato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Si attende una proroga dello stesso fino a quando non sarà spezzata la catena dei contagi della COVID-19, e sarà così possibile allentare la morda delle misure di contenimento. Il virologo Fabrizio Pregliasco ha dichiarato a fanpage che dovremmo “vedere la luce” nel mese di maggio.
Queste misure di distanziamento e isolamento sociale, benché estremamente efficaci (e soprattutto necessarie) dal punto di vista epidemiologico, possono avere un impatto molto negativo sul benessere delle persone, che col passare del tempo possono sviluppare sintomi da stress post-traumatico, confusione e rabbia. Particolarmente a rischio è la fascia di popolazione più vulnerabile, quella che vive in condizioni di precarietà. Del resto non tutti possono sopportare economicamente una quarantena prolungata senza l'assistenza da parte delle istituzioni, e non tutti vivono in case grandi, con tutte le comodità, come magari un giardino che permette di respirare aria fresca, vedere un po' di verde e il cielo, che tanto bene fanno al nostro benessere psicofisico.
A determinare il drammatico impatto psicologico della quarantena prolungata è stato un team di ricerca britannico composto da scienziati del prestigioso King's College di Londra. I ricercatori, guidati dalla dottoressa Samantha K. Brooks e dal professor Gideon James Rubin, docente presso il Dipartimento di Medicina Psicologica presso l'ateneo londinese, hanno condotto uno studio di revisione sui dati di circa 3.200 articoli dedicati agli effetti della quarantena, inclusi in tre distinti database. Dopo la scrematura di rito, Brooks e colleghi ne hanno selezionati e inclusi 24 nella propria indagine, dedicata ai potenziali effetti della pandemia di coronavirus.
Tra i fattori di stress evidenziati dagli scienziati vi sono la paura di restare contagiati; le informazioni inadeguate; le perdite economiche legate all'impossibilità di lavorare (un problema rilevante soprattutto per chi ha un impiego precario e saltuario, non protetto dalle coperture finanziarie messe sul campo dai governi); la carenza di beni e servizi; la noia; la frustrazione e la stigmatizzazione. Tutto questo, specificano gli autori dell'articolo “The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence”, può avere un impatto psicologico serio anche a lungo termine. L'isolamento forzato può inoltre sfociare in ansia, depressione e pensieri suicidi, mentre la rabbia e la frustrazione che montano possono determinare anche rischi di natura sociale. “La solitudine causa stress e lo stress cronico e duraturo porta all'aumento di cortisone, un ormone chiave dello stress. È inoltre collegato ad alti livelli di infiammazioni nel corpo. Questo danneggia i vasi sanguigni e altri tessuti, aumentando il rischio di malattie cardiache, diabete, artrite, depressione, obesità e morte prematura”, scrivono gli autori di uno studio pubblicato sull'Harvard Business Review.
Secondo Brooks e colleghi, per mitigare gli effetti della quarantena essa dovrebbe durare il più breve tempo possibile, compatibilmente con le necessità sanitarie di abbattere la curva dei contagi. Le istituzioni costrette ad applicare lockdown e simili devono inoltre garantire a tutti i cittadini una comunicazione efficace e rapida (cosa che effettivamente non sta sempre avvenendo con la pandemia di coronavirus), così come fornire beni e servizi di consumo, sia generali che medici. In questo modo l'impatto psicologico sarebbe indubbiamente minore, ma per garantire a tutta la popolazione questo tipo di supporto, senza escludere nessuno, sono necessari investimenti ingenti che non tutti i governi possono permettersi, perlomeno non senza prospettare enormi sacrifici economici una volta usciti dalla crisi sanitaria. I dettagli della ricerca britannica sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet.