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Covid 19

Scoperti nuovi punti deboli del coronavirus: speranze per una cura

Mettendo a confronto il modo in cui il coronavirus SARS-CoV-2 infetta le cellule umane con quello di altri patogeni, gli scienziati hanno identificato una proteina fondamentale nella replicazione virale. Questa molecola, chiamata proteina transmembrana 41 B, è un bersaglio promettente per nuovi farmaci, che potrebbero bloccare sul nascere l’infezione. Non solo la COVID-19, ma anche malattie provocate da altri patogeni.
A cura di Andrea Centini
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Rendering del coronavirus. Credit: KAUST; Ivan Viola
Rendering del coronavirus. Credit: KAUST; Ivan Viola
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È trascorso circa un anno da quando è stato identificato il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia di COVID-19 che ha messo in ginocchio il mondo intero, e da allora gli scienziati sono alacremente a lavoro per sviluppare le “armi” per combatterlo. In un lasso di tempo così breve abbiamo già un primo vaccino anti COVID approvato per l'uso d'emergenza in Occidente, il “BNT162b2” di Pfizer e BioNTech, inoltre sono a disposizione nuove terapiea base di anticorpi monoclonali – e vecchi farmaci alla stregua del desametasone che possono aiutare contro l'infezione. Ad oggi, tuttavia, una vera e propria cura non esiste ancora, e gli scienziati sono a caccia di molecole che potrebbero rivoluzionare l'approccio terapeutico, come si spera faranno i vaccini nella prevenzione. Due studi hanno identificato numerose proteine condivise tra il SARS-CoV-2 e altri patogeni che rappresentano un potenziale bersaglio per nuovi medicinali; fra esse ve n'è una chiamata proteina transmembrana 41 B (o TMEM41B) fondamentale per la replicazione virale. È tra le più promettenti in assoluto da colpire con farmaci ad hoc. Bloccando la replicazione virale, infatti, si arresterebbe la progressione della malattia e con essa le complicazioni più gravi e il rischio di morire (non solo per la COVID-19, ma anche per altre patologie infettive presenti e future).

A identificare la proteina transmembrana 41 B e altre decine di proteine virali come potenziali bersagli terapeutici è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Laura and Isaac Perlmutter Cancer Center presso il Langone Health dell'Università di New York e del Laboratorio di Virologia e Malattie Infettive dell'Università Rockfeller, che hanno collaborato con i colleghi dei CDC di Atlanta e del Memorial Sloan Kettering Cancer Center. I ricercatori, coordinati dal professor John T. Poirier, docente presso la Scuola di Medicina “Grossman” dell'ateneo newyorchese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto una serie di esperimenti nei quali hanno messo a confronto il modo in cui il coronavirus SARS-CoV-2 infetta le cellule umane (in provetta) con quello di un'altra ventina di patogeni. Fra essi vi erano coronavirus responsabili del comune raffreddore (che hanno affinità genetica col patogeno emerso in Cina) e flavivirus responsabili di patologie come febbre gialla, febbre del Nilo occidentale e malattia di Zika.

Dall'analisi dei dati è emerso che la proteina transmembrana 41 B gioca un ruolo fondamentale nella replicazione virale di entrambe le famiglie di virus. In parole semplici, questa proteina protegge la membrana lipidica che contiene il materiale genetico del virus, permettendogli di replicarsi in sicurezza all'interno delle cellule umane. Si tratta dunque di un bersaglio privilegiato per nuovi farmaci mirati, che potrebbero arrestare sul nascere la replicazione del coronavirus e dunque impedirgli di diffondersi nell'organismo. Come specificato dal professor Poirier in un comunicato stampa, grazie ai due studi paralleli sono state identificate più di cento proteine di interesse terapeutico. Grazie alla tecnica del "taglia e incolla" del DNA, la celebre CRISPR, gli scienziati hanno “spento” migliaia di geni per verificarne gli effetti sulla replicazione virale, determinando che la TMEM41B è l'unica che si è distinta in entrambe le famiglie di patogeni.

Tra le scoperte più interessanti fatte dagli scienziati americani ve n'è una relativa alle mutazioni di questa proteina, che sono risultate comuni nell'Asia orientale, ma non in Europa e in America. Com'è noto la pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 è stata meno aggressiva proprio in Asia, e non si esclude che, almeno in parte, possono aver giocato un ruolo proprio queste mutazioni. Al momento si tratta solo di ipotesi, che andranno verificate e confermate attraverso studi approfonditi. I dettagli delle ricerche “Genome-scale identification of SARS-CoV-2 and pan-coronavirus host factor networks” e “TMEM41B is a pan-flavivirus host factor” sono consultabili sul database online BiorXiv e in attesa di pubblicazione sulla rivista scientifica Cell.

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