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Rio la bozza del “futuro che vogliamo”

Faticosamente approvata dalla conferenza ONU, già giudicata una delusione dalle associazioni ambientaliste che invocano il tanto temuto “fallimento colossale”: la pre-bozza di accordo tra i Paesi non sembra promettere nulla di buono per l’esito del summit sullo sviluppo sostenibile. Ma ora la parola passa ai capi di Stato.
A cura di Nadia Vitali
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rio la bozza del futuro che vogliamo

Le buone intenzioni, almeno quelle, ci sono tutte: il problema è che manca la concretezza, i piani di investimento e tutti gli strumenti che potrebbero essere realmente utili a progettare «il futuro che vogliamo», dai palazzi di Rio de Janeiro dove sono da poco iniziati gli incontri alla presenza di Capi di Stato e delegazioni internazionali, nell'ambito del vertice ONU sullo sviluppo sostenibile. Per questo motivo la bozza di 49 pagine, approvata dopo faticosi lavori che avevano visto anche una preoccupante fase di stallo durante la quale non si riusciva a giungere ad un accordo, è guardata come una delusione da parte delle grandi associazioni ambientaliste che in Rio + 20 avevano riposto le ultime speranze affinché politica ed istituzioni concertassero nuove strategie per invertire la nostra rotta che, dopo un lungo peregrinare, ci ha fatto approdare su un Pianeta sovraffollato, sovrasfruttato, saccheggiato e, oltretutto, in drammatica crisi economica.

Complici le circostanze sfavorevoli, i grandi assenti e lo scarso interesse da parte dei mezzi di informazione, con un documento talmente poco ambizioso e che appare già così poco convincente prima ancora che i Capi di Stato e le delegazioni internazionali si apprestino a discuterlo, non resta altro da fare che affidarsi proprio ai vertici politici ed istituzionali per cercare ancora qualche brandello di fiducia in un avvenire in cui sviluppo economico e sostenibilità non siano più due concetti disgiunti, anzi fieramente avversari. Il che appare come minimo difficile con un testo da dibattere, ed eventualmente modificare, che non si sofferma su alcun obbligo ed impegno e si limita, quasi utopicamente, a dare indicazioni di massima e lanciare allarmi sulle condizioni di ecosistemi e cambiamenti climatici, come del resto hanno fatto dozzine di studiosi negli ultimi decenni. L'umanità ha forse smesso di lavorare per costruire il proprio domani ed ha tirato i remi in barca di fronte alla possibilità di tutelare e salvaguardare il futuro dell'ambiente da cui dipende la nostra stessa sopravvivenza?

È quello che temono in molti, a vent'anni dagli ottimistici proclami dell'Earth Summit del 1992, gravidi di ottimi propositi ambientalisti condensati in ventuno punti in un agenda per il secolo che stava per arrivare dei quali appena quattro sono stati a mala pena rispettati. Del resto, da allora, lo stesso Brasile in cui si stanno svolgendo i lavori non ha messo in campo adeguate politiche per proteggere non solo i propri spazi incontaminati, ma soprattutto le popolazioni di nativi che vivono, in fuga e minacciate, all'interno di questi, molto spesso investiti di prestigiosi (e a ben vedere poco utili) titoli quali Patrimonio dell'Umanità oppure Riserva della Biosfera. E dunque, il ritorno a Rio non poteva assumere un significato più simbolico di quello che, in questi giorni, stiamo vedendo, nell'ambito di una scoraggiata riunione internazionale che scontenta le Ong allo stesso modo dei Governi. A chi resta, dunque, la volontà e la possibilità di occuparsi seriamente di desertificazione, distruzione della biodiversità, sovrasfruttamento degli stock ittici e caccia non regolamentata, deforestazione, emissioni ed inquinamento di mari ed oceani?

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