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Rio + 20, pochi giorni al vertice con un fallimento già annunciato

Mettete l’assenza di capi di Stato del calibro di Barak Obama ed Angela Merkel, aggiungete la crisi economica mondiale, unite i disaccordi già manifestatisi prima del fischio d’inizio, il tutto senza dimenticare che dall’altro lato del globo si stanno disputando i campionati europei di calcio: gli ingredienti perché il Vertice Rio + 20 sia un insuccesso ci sono già tutti.
A cura di Nadia Vitali
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rio 20 summit sullo sviluppo sostenibile

C'è stato, deve esserci stato a memoria di tutti, recentemente un breve passaggio nella storia dell'umanità in cui tutte le questioni riguardanti l'ambiente sono state guardate con occhio attento ed interessato: deve essere trascorso molto tempo da allora, o almeno questo è quanto si percepisce, dal momento che, nel frattempo, la crisi economica ha travolto i migliori propositi green di buona parte dei Capi di Stato internazionali. E così il vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che aprirà i propri lavori il 20 giugno a Rio de Janeiro si trascina già stancamente ancor prima di iniziare, come una festa troppo attesa e oltretutto caricata dal peso delle defezioni dell'ultimo momento: non ci saranno Il Presidente Barak Obama e non ci sarà il cancelliere Angela Merkel; assente anche il premier britannico James Cameron. Del resto, i due europei sarebbero quasi legittimati a non essere inclusi tra i 115 leader riuniti nel summit, viste le notevoli preoccupazioni mediterranee che non accennano a placarsi (il Presidente Mario Monti stesso non parteciperà: in sua vece il Ministro Corrado Clini); mentre, purtroppo, la mancanza di un figura carismatica come Barak Obama sarà destinata a farsi sentire, come immaginato da Ban Ki-Moon che ha già speso molte parole per sollecitarne, invano, l'attenzione. Il punto è che Rio è «troppo importante per fallire» ci ricorda il segretario generale ONU: e ciò è drammaticamente vero.

Ultima chiamata per la Terra –  Non c'è bisogno di essere degli ambientalisti-catastrofisti-complottisti per comprendere il valore dei progetti, dei piani e delle iniziative che potrebbero uscire dai tavoli dove saranno riuniti, a partire dal 20 giugno e fino al 22, delegazioni internazionali, imprenditori, associazioni ed organizzazioni: se il mondo occidentale deve fare i conti con le proprie miserie ed inadeguatezze, se proprio ora in Europa «il cratere del precipizio si sta allargando» e gli Stati Uniti devono cercare capri espiatori per motivare una crisi che non può concedere tregua, a meno di un ripensamento globale (e probabilmente doloroso), sarebbe stato importante, agli occhi di molti, che i leader fossero presenti proprio lì, a Rio, dove si potrebbero tracciare le linee di un futuro ancora possibile. Con la consapevolezza che ci sono delle gravissime alterazioni e storture che devono essere corrette e sistemate con il massimo dell'impegno: se l'umanità necessita ogni anno del 150% di risorse che il Pianeta Terra ha da offrire, chiaramente i tempi per decidere nuove e più efficaci strategie sono ristretti. E dunque questo indolente "boicottaggio" è la conferma di un declinante interesse nei confronti del tema dello sviluppo sostenibile con i leader di tutto il mondo che hanno già all'attivo quell'insuccesso che è stato la diciassettesima conferenza delle Parti sul clima di Durban che, dopo giorni di trattative e ritiri a sorpresa dal Protocollo di Kyoto, è riuscita a mettere in piedi le linee guida per la riduzione della CO2 nell'atmosfera, solo a partire dal 2020.

L'ombra dell'insuccesso – Le premesse non sono delle migliori: i personaggi più in vista, quelli che a suon di dichiarazioni roboanti avrebbero potuto quanto meno attirare l'interesse dei media e di tanta parte dell'opinione pubblica, non saranno presenti, mentre l'informazione sarà inevitabilmente calamitata dai campi di calcio dove si stanno disputando i campionati europei. Il rischio dei cambiamenti climatici, le tematiche legate a sviluppo e crescita (che interessano tutti, dai politici agli imprenditori), il significato ed il potenziale della green economy, il livellamento di quelle disuguaglianze che si manifestano anche nello sfruttamento territoriale a danno dei Paesi in via di sviluppo: questi i grandi temi che dovrebbero essere affrontati e che, tuttavia, si profilano come gli elementi principali del preannunciato «flop». Un flop la cui ombra si allunga già minacciosa in questi giorni di preludio alla United Nations Conference on Sustainable Development con il documento di sintesi dei punti da trattare sul quale le parti non riescono a trovare un accordo: la fase preparatoria ha portato all'approvazione di meno del 40% del testo, prolungando la durata dei negoziati preliminari fino ad oggi, con la speranza che possa portare ad un risultato. L'occasione è unica, per dirigersi tutti uniti (o il più possibile) verso una svolta significativa, o per promuovere l'ennesimo debole e traballante accordo, dalla dubbia efficacia: fallire totalmente o portare a casa un vero successo, questa l'alternativa.

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