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Quando finirà la pandemia di coronavirus?

La pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 che stiamo vivendo ha causato oltre 40 milioni di contagi e più di un milione di morti in tutto il mondo, e ad oggi, a poco meno di un anno dalla comparsa del virus in Cina, è impossibile prevedere quando finirà. Secondo l’esperta Nükhet Varlik dell’Università della Carolina del Sud, per provare a capirlo dovremmo guardare al passato, all’emersione di altre malattie infettive che hanno colpito l’umanità.
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A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, lunedì 19 ottobre, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati americani dell'Università Johns Hopkins la pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 ha provocato nel mondo oltre 40 milioni di contagi accertati e più di un milione e centomila vittime (in Italia le infezioni complessive sono 414mila e i decessi 36.500). In meno di un anno il patogeno emerso in Cina ha stravolto il mondo intero e ancora oggi non sappiamo quando tutto questo finirà. Si possono fare delle ipotesi, provando ad esempio a interpretare i dati attraverso i modelli matematici, oppure sperare nella distribuzione di un vaccino sicuro ed efficace – le prime dosi dovrebbero arrivare tra a fine di quest'anno e l'inizio del 2021 -, che di concerto con le misure anti contagio potrebbe dare l'effetto sperato. Al momento, tuttavia, si tratta solo di ipotesi, perché il SARS-CoV-2 è un virus nuovo e ancora non se ne conoscono a fondo tutte le caratteristiche.

Come suggeriscono alcuni esperti, un metodo valido per capire come potrebbe evolvere la pandemia che stiamo vivendo non è attraverso l'analisi dei dati attuali, ma guardando al passato, alle altre pandemie che già ci hanno colpito. A spiegare nel dettaglio come questo punto di vista possa essere d'aiuto e in qualche modo “illuminante” è la professoressa Nükhet Varlik, docente di Storia presso l'Università della Carolina del Sud ed esperta dell'impatto delle malattie infettive nella storia umana. La ricercatrice ha pubblicato un lungo articolo sulla rivista The Conversation, nel quale ha descritto quali tecniche stanno usando gli epidemiologi per prevedere la fine della pandemia, oltre a fare una panoramica su quelle emerse in passato. Per quanto concerne i modelli predittivi, la Varlik ha specificato che le simulazioni analoghe a quelle dettagliate negli studi “Modelling the COVID-19 epidemic and implementation of population-wide interventions in Italy” e “Ensemble Forecasts of Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) in the U.S.” non sono in grado di determinare esattamente quando di estinguerà una pandemia, oppure quante persone perderanno la vita a causa del coronavirus, perché non sono “sfere di cristallo” e le variabili in gioco sono naturalmente moltissime.

Alcuni pensavano che il caldo avrebbe fatto sparire il virus, altri ancora che con la discussa immunità di gregge si sarebbe riusciti ad arginarne la diffusione. Come dimostrano i dati di questa estate, in particolar modo quelli degli Stati Uniti, le alte temperature hanno fatto tutto fuorché spezzare la catena di contagi; per quanto riguarda l'immunità di gregge, non solo si ritiene che ad oggi la percentuale di popolazione infettata sia troppo bassa, ma ancora non è chiaro quanto tempo duri la protezione immunitaria in seguito al contagio (si stanno già verificando alcuni casi di reinfezione). Tenendo presente che l'immunità di gregge senza un vaccino è un traguardo utopistico – oltre che non etico, dato che si lascerebbero le persone alla mercé del virus -, non è certo ad essa che bisogna puntare. Anche nel caso in cui fossero disponibili vaccini sicuri ed efficaci, inoltre, se non sarà messa a punto una campagna vaccinale globale e a tappeto il virus potrebbe sparire da alcune parti e continuare a prosperare in altre, trasformandosi in un patogeno epidemico che di tanto in tanto potrebbe tornare a fare capolino. Alcuni esperti pensano che la COVID-19 possa diventare come un'influenza, ovvero presentarsi ciclicamente. La speranza dei virologi è che l'aggressività del virus si riduca col passare del tempo e la convivenza con l'ospite umano, ma al momento i segnali di questa ridotta letalità non sembrano esserci (le differenze osservate tra il picco della prima ondata e i contagi dilaganti osservati nell'avvio della seconda, ad esempio, potrebbero essere spiegate dalle fasce di età interessate dalla patologia).

La professoressa Varlik sottolinea che “praticamente ogni patogeno che ha colpito le persone negli ultimi migliaia di anni è ancora con noi, perché è quasi impossibile eliminarli completamente”. L'unica malattia che è stata debellata grazie al vaccino è stata il vaiolo, ha spiegato la ricercatrice, grazie alla campagna vaccinale messa a punto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. A suffragio della persistenza dei patogeni che ci colpiscono – siano essi virali, batterici o parassitari -, la Varlik fa un elenco di malattie con le quali conviviamo da moltissimo tempo, e che ancora oggi rappresentano una seria minaccia alla salute pubblica. Quella più emblematica è la malaria, della quale solo nel 2018 sono stati diagnosticati ben 228 milioni di casi con oltre 400mila morti registrati in tutto il mondo. Recentemente si sono registrati anche due casi mortali in Italia, una bambina di 4 anni di Trento nel 2019 e una insegnante e giornalista siciliana (Loredana Guida) all'inizio di quest'anno. Nel nostro Paese la malaria è stata sconfitta, ma infezioni tra persone che rientrano da Paesi ancora colpiti continuano a essere rilevate. La ricercatrice dell'Università della Carolina del Sud spiega che contro la malaria è stato fatto tanto grazie a farmaci come la clorochina e altre misure, ma la patologia è ancora ben radicata in diversi Paesi in via di sviluppo. Altre malattie di vecchia data come la tubercolosi, il morbillo e la lebbra sono presenti ancora oggi, spiega la Varlik, e nonostante tutti gli sforzi compiuti “l'eradicazione è ancora lontana”.

Anche la malattia più letale nella storia dell'umanità, la peste, che ha provocato centinaia di milioni di morti, ancora oggi continua a uccidere. Durante il Medioevo la peste nera provocò la morte di circa 50 milioni di persone in tutto il mondo, compreso un terzo dell'intera popolazione europea, e il batterio responsabile – lo Yersinia pestis – è ancora fra noi. Recentemente sono stati registrati decessi e contagi in Mongolia, tra persone che hanno consumato carne di marmotta infettata dal batterio. Ma credere che il coronavirus SARS-CoV-2 possa comportarsi come altri patogeni emersi nel corso della storia umana resta comunque solo una supposizione.

“È possibile ipotizzare che COVID-19 si comporti come l'influenza o un'altra infezione respiratoria, oppure provare ad applicare scenari storici di vecchie pandemie. Purtroppo, generalizzazioni di questo tipo sono rischiose perché il SARS-CoV-2 è un virus nuovo del quale stiamo conoscendo ora le caratteristiche di diffusione”, viene specificato in un comunicato dell'Ospedale Bambino Gesù. L'unica cosa che possiamo fare adesso è rispettare le disposizioni che aiutano a limitare la diffusione dei contagi, ovvero indossare la mascherina laddove richiesto, mantenere il distanziamento sociale, curare spesso e bene l'igiene delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico e anche scaricare l'App Immuni, che può essere d'aiuto nel tracciamento dei contatti. Come specificato al Corriere della Sera dall'immunologo Francesco Le Foche dell'Università “Sapienza” di Roma, grazie a vaccino e farmaci la prossima primavera segnerà comunque un cambio di passo nella lotta alla pandemia; per allora potremmo iniziare ad avere una comprensione migliore della sua possibile durata.

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