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Covid 19

Perché il solo vaccino anti COVID non basterà a fermare la diffusione del virus

Un team multidisciplinare di esperti britannici chiamato “The DELVE Initiative” ha messo a punto un nuovo rapporto nel quale spiega le ragioni per cui il solo vaccino, seppur sicuro ed efficace contro il coronavirus SARS-CoV-2, da solo non sarà sufficiente a fermare la diffusione del patogeno. Produzione, conservazione, distribuzione, campagna vaccinale e fiducia dell’opinione pubblica sono solo alcune delle grandi sfide che dovranno essere affrontate nei prossimi mesi.
A cura di Andrea Centini
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La corsa per ottenere un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2 potrebbe sfociare nella distribuzione di massa delle dosi entro la prossima primavera, qualora le preparazioni più promettenti dovessero raggiungere gli standard di efficacia e sicurezza richiesti dalle autorità competenti. Si tratterebbe di un vero e proprio record, considerando che per lo sviluppo di un nuovo vaccino normalmente ci vogliono dai 6 agli 8 anni, mentre il patogeno emerso in Cina è noto da meno di un anno. A rendere ancora più eccezionale il potenziale traguardo, il fatto che ad oggi non esistono vaccini contro i coronavirus, una famiglia di patogeni della quale fanno parte anche alcuni virus del raffreddore e anche quelli responsabili della SARS e della MERS (betacoronavirus come il SARS-CoV-2, che causa la COVID-19). La necessità di ottenere una preparazione in tempi rapidissimi e il fatto di doverla produrre, conservare e distribuire a miliardi di persone sono ostacoli tecnici e logistici di grande rilevanza, tanto che un team di ricerca ha sottolineato in un nuovo rapporto che la sola disponibilità del vaccino non sarà sufficiente per arrestare la diffusione del coronavirus. Sarà infatti necessario continuare a seguire le misure di protezione basilari (indossare le mascherine, mantenere la distanza dagli altri di almeno un metro e curare spesso l'igiene delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico) ancora a lungo, e anche altre restrizioni potrebbero essere allentate gradualmente. I vaccini non sono infatti formule magiche che fanno sparire immediatamente i patogeni.

A sottoscrivere il rapporto – chiamato SARS-CoV-2 Vaccine Development & Implementation; Scenarios, Options, Key Decisions – è stato il team multidisciplinare britannico “The DELVE Initiative” (acronimo di Data Evaluation and Learning for Viral Epidemics), che ha lavorato in stretta collaborazione con la Royal Society. Tra i numerosi esperti che hanno firmato il documento, frutto di mesi di analisi sull'andamento della pandemia e sulle numerose sfide che essa comporta, figura il professor Nilay Shah del Dipartimento di Ingegneria Chimica presso l'Imperial College di Londra; lo scienziato ha dichiarato che anche se la prossima primavera sarà disponibile un vaccino sicuro ed efficace, ci vorrà almeno un anno per poter vaccinare tutti. Ciò dipende anche da come saranno distribuite le dosi, che dovrebbero seguire un piano ben preciso. Secondo la strategia “COVAX” dell'OMS, nella prima fase tutti i Paesi dovrebbero ottenere dosi sufficienti per coprire il 3 percento della popolazione, dando priorità alla fasce più a rischio, come operatori sanitari e forze dell'ordine. Nel secondo ciclo di distribuzione tutti i Paesi dovrebbero ricevere abbastanza dosi per coprire il 20 percento della popolazione, per immunizzare soggetti immunodepressi, anziani con comorbilità e altre categorie che rischiano di più le conseguenze letali della COVID-19. Nella Fase 2 vera e propria, il programma COVAX prevede la diffusione del vaccino per la restante parte della popolazione, ma questa volta non in base a percentuali prestabilite, bensì sullo stato di rischio del singolo Paese preso esame(curva epidemiologica, saturazione delle unità di terapia intensiva, assistenza medica etc etc).

Pur avendo un piano del genere, questi miliardi di dosi devono essere prodotti, conservati, diffusi e somministrati. Alcune fabbriche hanno iniziato a produrre dosi di vaccino sin da adesso, pur non essendoci ancora la certezza dell'efficacia e della sicurezza delle preparazioni (che verranno certificate dagli studi di Fase 3); ciò dovrebbe garantire la disponibilità di una certa quantità di riserve proprio entro la prossima primavera. Ma ci sono numerose sfide da superare. Potrebbero mancare i materiali per produrre così tanti vaccini (come componenti chimici o le semplici fialette di vetro), inoltre alcuni di essi necessitano di conservazione a temperature molto basse, e non tutti i Paesi hanno infrastrutture e mezzi di trasporto adeguati per la distribuzione di prodotti di questo tipo. Tutto ciò produrrà degli inevitabili ritardi, durante i quali saremo costretti a convivere con restrizioni e altre misure per spezzare la catena dei contagi. “Anche se sarà efficace, è molto improbabile che saremo in grado di tornare completamente alla normalità. Ci sarà una scala mobile anche dopo l'introduzione di un vaccino che sappiamo essere efficace. Dovremo allentare gradualmente alcune delle restrizioni”, ha dichiarato il professor Charles Bangham, direttore del Dipartimento di Immunologia presso l'Imperial College di Londra e tra i firmatari del rapporto. Va anche tenuto presente che un potenziale vaccino potrebbe non essere efficace su tutte le fasce di popolazione, e nel caso di efficacia ridotta e di durata limitata della protezione potrebbe essere difficile raggiungere l'agognata immunità di gregge.

Gli autori del rapporto sottolineano anche che se tutto dovesse funzionare a dovere, la campagna vaccinale da programmare dovrà essere dieci volte più imponente di quella messa a punto ogni anno per l'influenza. Serviranno migliaia e migliaia di operatori sanitari, moltissimi dei quali ingaggiati soltanto per vaccinare una fila lunghissima di persone. Infine, spiega la dottoressa Zania Stamataki, specializzata in immunologia virale presso l'Università di Birmingham, sarà necessario vincere anche la resistenza di chi non crede nella sicurezza e nell'efficacia dei vaccini (in pratica gli antivaccinisti); se un numero consistente di persone deciderà di non vaccinarsi, anche in questo caso c'è il rischio di veder sfumare l'obiettivo dell'immunità di gregge e di sconfiggere il virus. Le sfide che si hanno innanzi sono dunque molteplici, molte delle quali assolutamente da non sottovalutare.

Alla data odierna, venerdì 2 ottobre, in base al documento “Draft landscape of COVID-19 candidate vaccines” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aggiornato al 30 settembre risultano esserci ben 192 vaccini in sperimentazione contro il coronavirus SARS-CoV-2. Fra essi in 151 sono ancora in sperimentazione pre-clinica, vengono cioè testati in provetta su cellule in coltura o su modelli animali, mentre i restanti 42 sono passati alla clinica, i test sull'uomo. Di questi ultimi, una decina è entrata nella fondamentale Fase 3 della sperimentazione, ovvero l'ultimo step prima dell'approvazione da parte delle autorità competenti e dell'eventuale immissione in commercio. Tra i più promettenti in questa fase vi è il vaccino il ChAdOx1 (o AZD1222) sviluppato dallo Jenner Institute dell'Università di Oxford in collaborazione con l'azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia e prodotto dalla casa farmaceutica britannica-svedese AstraZeneca. L’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) ha annunciato di aver iniziato l’iter per l'approvazione della preparazione, ancor prima che siano disponibili tutti i dati (che valuterà al momento opportuno). La speranza è che la distribuzione di massa di questo e altri vaccini, qualora ne fosse dimostrata la sicurezza e l'efficacia, possa davvero avvenire entro la prossima primavera e che si riescano a superare con successo tutte le sfide indicate dal gruppo DELVE.

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