Qual è la differenza tra asintomatici, presintomatici e paucisintomatici con coronavirus
Alla data di mercoledì 10 giugno, sulla base della mappa interattiva realizzata dagli scienziati americani dell'Università Johns Hopkins, nel mondo il coronavirus SARS-CoV-2 ha contagiato oltre 7 milioni e 250 mila persone, uccidendone più di 411mila (in Italia si registrano 235mila contagi e 34mila morti). Gli scienziati ritengono che questi numeri rappresentano un'ampia sottostima dei casi reali, anche alla luce del fatto che in molti dei contagiati sviluppano la COVID-19 (l'infezione causata dal patogeno) in forma asintomatica. Secondo i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) americani, fino al 25 percento dei contagiati sarebbe asintomatico, ma studi condotti su campioni ristretti di persone alzano questa percentuale anche oltre il 50 percento.
Comprendere il ruolo degli asintomatici nella diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 è estremamente importante, ma al momento non c'è molto accordo in tal senso da parte degli scienziati. Lo dimostra l'improvviso “dietrofront” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, o più precisamente, del suo responsabile tecnico per la risposta al coronavirus e capo della task force per le malattie emergenti e le zoonosi, l'epidemiologa Maria Van Kerkhove. Dopo aver affermato in una conferenza stampa che dai dati in possesso “sembra ancora raro che una persona asintomatica possa effettivamente trasmettere il virus a un altro individuo”, a poche ore di distanza ha ritrattato dicendo di non aver parlato a nome dell'organizzazione, e di essersi riferita a un piccolo campione di dati. Insomma, il ruolo degli asintomatici nella pandemia non sarebbe ancora ben definito, per l'OMS.
Differenza tra asintomatici e presintomatici
Ma chi sono effettivamente gli asintomatici? Un paziente asintomatico è una persona che non sviluppa alcun sintomo – né atipico, né caratteristico – di una determinata patologia, nel caso specifico della COVID-19. In parole semplici, viene contagiato dal coronavirus, e pur risultando positivo al tampone rino-faringeo (che rileva la presenza di RNA virale nell'organismo) non ha alcuna manifestazione clinica ella patologia. I veri asintomatici, come spiegato dalla stessa Maria Van Kerkhove durante la conferenza stampa dell'OMS tenutasi a Ginevra, non vanno assolutamente confusi con i paucisintomatici e con i presintomatici. I primi sono coloro che sviluppano sintomi lievissimi (tipici e/o atipici) della malattia: qualche colpo di tosse, una febbricola, naso che cola, qualche piccolo problema gastrointestinale e brivido di freddo, o magari uno stato assimilabile a quello di un comune raffreddore. L'infezione nei paucisintomatici è visibile, il coronavirus si replica ma non dà vita a manifestazioni che richiedono il ricovero in ospedale, o peggio, a un trattamento in terapia intensiva con complicanze potenzialmente fatali. I presintomatici sono invece coloro che sono stati contagiati dal virus e si trovano in quella fase chiamata “periodo di incubazione”, che intercorre tra il momento del contagio a quello dello sviluppo delle prime manifestazioni sintomatiche. Per la COVID-19, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il periodo di incubazione medio è di 5-6 giorni, cioè passa poco meno di una settimana dal contatto col virus alla manifestazione dei primi sintomi, tuttavia in alcuni casi esso può durare anche 14 giorni.
La differenza tra asintomatici, paucisintomatici e presintomatici è fondamentale per capire come ciascuna di queste categorie, oltre a quella dei sintomatici, ha un impatto sulla diffusione del coronavirus. Si ritiene che i sintomatici siano coloro che possono diffondere più facilmente il virus; i colpi di tosse, ad esempio, possono far viaggiare più lontano le goccioline (droplet) e gli aerosol contenti le particelle virali. Secondo uno studio condotto da scienziati del Centro di collaborazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per l'Epidemiologia e il Controllo delle malattie infettive dell'Università di Hong Kong, tuttavia, si risulta infettivi anche da 2 a 3 giorni prima della comparsa dei sintomi (dunque nella fase presintomatica); altre indagini hanno trovato conferme della trasmissione anche da parte dei veri asintomatici. Secondo un altro studio, come mostra il grafico qui di seguito, il 5 percento delle infezioni sarebbe legato a persone che non hanno mai avuto sintomi; il 10 percento a contaminazione “ambientale” (ad esempio, toccando il pulsante del bancomat contaminato e poi sfregandosi il viso con le mani); il 40 percento dai sintomatici e il 45 percento dei sopracitati presintomatici, che dunque giocherebbero un ruolo estremamente importante nella diffusione della COVID-19. Queste considerazioni sono in linea con quanto affermato dall'OMS inizialmente sul ruolo marginale dei veri asintomatici nella pandemia (poi smentito).
Di tutt'altro avviso è il professor Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova e dell'Unità operativa complessa di Microbiologia e Virologia dell'azienda ospedaliera patavina, balzato agli onori della cronaca per essere il fautore del virtuoso modello di test a Vo' Euganeo. Lo scienziato, ha sottolineato che gli asintomatici “sono pericolosi” e “hanno un ruolo cruciale”, nella diffusione della COVID-19. “La loro carica virale – ha dichiarato Crisanti – è paragonabile a chi ha sintomi. Per esempio, nel comune di Vo', ci sono 63 persone positive che si erano infettate e poi guarite già prima del 21 febbraio. Erano tutte asintomatiche, senza neppure un malessere ma sono quelle che hanno portato la malattia nel Paese”, ha aggiunto lo scienziato in un'intervista su “Il Giornale”, che si è successivamente scagliato contro la burocrazia dell'OMS. A suffragare la teoria del professor Cristanti i risultati dello studio “Prevalence of Asymptomatic SARS-CoV-2 Infection” pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine, in base al quale gli asintomatici sarebbero responsabili del 45 percento dei contagi totali. Anche il virologo Giorgio Palù, docente emerito di Microbiologia dell’università di Padova, ha dichiarato che le concentrazioni di virus nelle secrezioni degli asintomatici sono paragonabili a quelle dei sintomatici, e che dunque i primi possono diffondere la patologia alla stregua dei secondi, come suggerisce la letteratura scientifica attualmente a disposizione.