Plasma iperimmune dei guariti inefficace nei pazienti Covid già malati: non è più raccomandato
Quando emerge una nuova malattia infettiva, come la COVID-19 provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, naturalmente all'inizio non sono disponibili farmaci ad hoc per trattarla, pertanto medici e organizzazioni sanitarie si adeguano con ciò che hanno già a disposizione. Farmaci sperimentali somministrati in uso compassionevole e uso “off-label” (cioè fuori etichetta) di medicinali già approvati per altre condizioni rappresentano la strada maestra, ma in queste circostanze l'Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) approva anche l'uso del cosiddetto “plasma iperimmune” ottenuto da pazienti convalescenti/guariti che hanno contratto la suddetta infezione. È una pratica antica che è stata migliorata nel corso dei decenni, soprattutto per quel che concerne la purificazione del siero estratto, che è ricco di anticorpi neutralizzanti contro il patogeno interessato. La tecnica ha avuto ampio risalto (anche mediatico) sin dall'inizio della pandemia di COVID-19 e, in alcuni casi, è collimata con grandi campagne di finanziamento per il coinvolgimento dei donatori, al fine di ottenere scorte sufficienti di plasma da somministrare pazienti. Il principio è semplice: infondere anticorpi contro il coronavirus SARS-CoV-2 nel flusso sanguigno al fine di aiutare il sistema immunitario a combattere l'infezione. Ma è davvero efficace come soluzione?
A circa un anno e mezzo da quando il patogeno ha iniziato a diffondersi a Wuhan, in Cina, tale procedura è stata ampiamente ridimensionata, tanto che da potenziale trattamento “salvavita” per i pazienti con la forma grave della COVID-19 è ormai considerata utile solo come arma “preventiva”, in grado di fornire benefici in coloro che si trovano nelle primissime fasi dell'infezione. In altri termini, sarebbe inutile in chi ha contratto la malattia e si trova ricoverato in ospedale, oppure è intubato in un reparto di terapia intensiva a causa di una severa polmonite bilaterale interstiziale o per gli effetti della tempesta di citochine che può innescare la sindrome da distress respiratorio acuto (o ARDS). Sono tra le complicazioni potenzialmente fatali dell'infezione da SARS-CoV-2. A certificare che il plasma iperimmune non protegge i pazienti Covid da complicazioni e morte vi è anche il recente studio italiano TSUNAMI condotto dall'Istituto Superiore della Sanità (ISS) in stretta collaborazione con l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). In parole semplici, è stato dimostrato che il plasma iperimmune non riduce il rischio di peggioramento respiratorio e decesso nei pazienti contagiati che hanno sviluppato una polmonite e presentano una compromissione ventilatoria da lieve a moderata. Lo studio ha coinvolto centinaia di pazienti in tutta Italia e, mettendo a confronto gli esisti clinici fra quelli trattati con plasma iperimmune e coloro che hanno ricevuto la sola terapia anti Covid standard, non sono stati osservati benefici in termini di mortalità e miglioramenti. Qualche beneficio (non statisticamente significativo) è stato osservato solo in coloro che avevano una polmonite lieve; non a caso AIFA e ISS sottolineano che il plasma iperimmune può avere una sua efficacia nel trattamento dei pazienti nella fase iniziale dell'infezione.
A dimostrare l'inutilità nei pazienti affetti dalla COVID-19 moderata e severa vi sono anche i dati provenienti dagli Stati Uniti, dove sotto la spinta dell'ex presidente Donald Trump si è dato un grande risalto alla terapia con plasma iperimmune. Secondo un editoriale del New York Times sono stati spesi circa 800 milioni di dollari dal governo federale per mettere in piedi la campagna di raccolta, distribuzione e infusione del plasma nei nosocomi statunitensi. Il progetto è stato accompagnato anche da una forte campagna promozionale chiamata “Fight Is In Us” – supportata da diverse celebrità – per promuovere le donazioni. Tutto questo ha portato all'accumulo di grandi quantità di sacche di plasma – oltre 720mila, secondo il NYT – che ormai non vengono quasi nemmeno più usate, sotto l'evidenza dei dati scientifici che hanno completamente ridimensionato l'efficacia della terapia. “I dati non sono così forti e rendono difficile, credo, essere entusiasti nel veder continuare l'utilizzo (del plasma)”, ha dichiarato il dottor H. Clifford Lane, un direttore clinico del National Institutes of Health (NIH) che ha riconosciuto come le prove sull'efficacia del plasma erano limitate. Proprio i NIH hanno interrotto un recente studio per mancanza dei suddetti benefici.
In agosto l'FDA approvò il plasma iperimmune per l'uso di emergenza, ma come sottolineato dal commissario dell'agenzia Dr. Hahn, fu soprattutto una decisione politica e non una scelta motivata da dati medici e scientifici, proprio per la pressione dell'ex presidente e del suo entourage. La campagna di infusione partì rapidamente, e come indicato dal NYT, a gennaio del 2021 – quando si registravano ben 130mila ricoveri al giorno per COVID -, “gli ospedali somministravano 25.000 unità di plasma alla settimana”. Ma era già evidente che i benefici non fossero quelli da sperato trattamento "salvavita". La Infectious Diseases Society of America a settembre 2020 aveva già raccomandato di non usare il plasma nei pazienti ricoverati al di fuori di studi clinici, ma con le nuove linee guida indica che il plasma non dovrebbe essere proprio usato in chi finisce in ospedale per Covid. A febbraio anche l'FDA ha rivisto le proprie raccomandazioni, limitando l'uso del plasma solo nei pazienti che si trovano nella primissima fase dell'infezione o che per situazioni sottostanti non possono generare anticorpi in modo naturale. A gennaio è stato anche interrotto lo studio “RECOVERY trial closes recruitment to convalescent plasma treatment for patients hospitalised with COVID-19” con plasma iperimmune (nel Regno Unito) poiché è stato dimostrato che era inefficace nei pazienti già malati. Ormai sono moltissimi i centri medici a ritenere l'uso del plasma iperimmune un trattamento superfluo, non supportato dall'evidenza scientifica, così non lo somministrano più. “Cleveland Clinic non somministra più regolarmente plasma a causa di una ‘mancanza di prove convincenti sull'efficacia”, ha dichiarato il dottor Simon Mucha. Alla luce dei dati raccolti sino ad oggi, larga parte della comunità scientifica ritiene che il plasma iperimmune debba ormai essere utilizzato solo a scopo preventivo, principalmente nei pazienti che sono a rischio di complicazioni e nella fase precoce dell'infezione.