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Covid 19

Perché serviranno nuovi vaccini anti COVID entro un anno

Un sondaggio della People’s Vaccine Alliance che ha coinvolto circa 80 scienziati ha rilevato che per gli esperti sarà necessario avere nuovi vaccini anti COVID entro un anno. Il virus, infatti, continuando a circolare potrebbe sviluppare nuove mutazioni in gradi di eludere l’efficacia dei farmaci già approvati. Gli scienziati sottolineano l’importanza di vaccinare tutto il mondo il più rapidamente possibile.
A cura di Andrea Centini
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I vaccini attualmente approvati contro il coronavirus SARS-CoV-2 potrebbero perdere la propria efficacia nel giro di un anno, soprattutto se si continuerà a lasciar circolare il patogeno nei Paesi a basso reddito che non possono permettersi i farmaci anti COVID (e che non vengono aiutati a sufficienza da quelli ricchi). A determinarlo un sondaggio della People's Vaccine Alliance, una coalizione di organizzazioni – di cui fanno parte Amnesty International, Oxfam e UNAIDS – che ha intervistato circa 80 scienziati tra virologi, epidemiologi e altri specialisti provenienti da trenta Paesi. Un terzo dei ricercatori intervistati, come sottolineato dal Guardian, ha dichiarato che questa finestra di tempo potrebbe essere addirittura inferiore ai 9 mesi.

Come ogni altro patogeno, del resto, il coronavirus SARS-CoV-2 muta costantemente, mentre si replica negli ospiti e si diffonde sempre di più nella popolazione umana. La maggior parte di queste mutazioni – che si verificano casualmente – è innocua e insignificante, come sottolineato dagli esperti, tuttavia in alcuni casi possono emergere modifiche significative al patrimonio genetico, che possono garantire al virus caratteristiche nuove e preoccupanti, come maggiori letalità e trasmissibilità. La componente nel mirino degli scienziati è la proteina S o Spike del patogeno, il “grimaldello biologico” che il coronavirus sfrutta per legarsi al recettore ACE-2 delle cellule umane e invaderle, il processo alla base della replicazione e dell'infezione chiamata COVID-19.

I vaccini attualmente approvati per l'uso di emergenza sono stati sviluppati sulla base del codice genetico del ceppo originale del SARS-CoV-2, quello diffusosi dalla metropoli cinese Wuhan al resto del mondo. Ma come sappiamo bene, nel corso della pandemia sono emerse nuove varianti con mutazioni da non sottovalutare, come quelle inglese, sudafricana e brasiliana. La prima è nota per la maggiore trasmissibilità (fino al 90 percento) e una letalità superiore; le seconde, che condividono la mutazione E484K sulla proteina S o Spike, presentano un certo grado di elusione verso gli anticorpi neutralizzanti, sia quelli innescati da una precedente infezione naturale che quelli generati dai vaccini. Ciò è dovuto proprio alle modifiche strutturali della suddetta proteina; in pratica, chiave e serratura non corrispondono più correttamente, e ciò determina una ridotta efficacia dei farmaci.

Se vaccineremo tutte le popolazioni dei Paesi ricchi ma lasceremo quelli in via di sviluppo con una copertura insufficiente, dunque, daremo tempo e modo al virus di sviluppare mutazioni sempre più abili nell'eludere i vaccini, fino a far rendere i farmaci obsoleti. Secondo gli esperti intervistati alla People's Vaccine Alliance, come indicato, questo tempo può essere inferiore ai 9 mesi. “Nuove mutazioni sorgono ogni giorno. A volte trovano una nicchia che li rende più efficaci rispetto ai loro predecessori. Queste varianti potrebbero trasmettere in modo più efficiente e potenzialmente eludere le risposte immunitarie a ceppi precedenti”, ha dichiarato il professor Gregg Gonsalves dell'Università di Yale. “A meno che non si vaccini il mondo intero, si lascia il campo di gioco aperto a sempre più mutazioni, che potrebbero dar vita a varianti che potrebbero eludere i nostri attuali vaccini e richiedere dosi di richiamo per affrontarli”, ha aggiunto l'esperto.

Ad oggi i Paesi più ricchi come il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno somministrato almeno una dose al 25 percento della propria popolazione, mentre Israele ha fatto molto di più. Ma ci sono Paesi come la Thailandia e il Sudafrica dove la copertura vaccinale è inferiore all'1 percento. In altri Paesi la campagna vaccinale anti COVID deve ancora partire. Mentre l'Europa punta all'immunità di gregge entro l'estate, secondo la Covax, la coalizione nata per garantire la solidarietà dei vaccini, entro la fine del 2021 si conta di fornire i farmaci ad almeno il 27 percento delle popolazioni a basso reddito. È troppo poco per proteggere il mondo intero dalla nascita delle nuove varianti. Le case farmaceutiche stanno già predisponendo aggiornamenti per i propri farmaci, al fine di migliorare l'efficacia contro le varianti già circolanti e predisporli contro quelle che potrebbero emergere in futuro. Nel frattempo si pensa già alla terza dose di richiamo in autunno, per potenziare l'immunizzazione a chi è stato vaccinato in questa prima fase della campagna vaccinale globale.

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