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Covid 19

Le varianti sudafricana e brasiliana riducono l’efficacia degli anticorpi di guariti e vaccinati

Un team di ricerca guidato da scienziati del Centro tedesco per i primati (DPZ) – Leibniz Institute for Primate Research di Gottinga ha dimostrato che le varianti sudafricana e brasiliana del coronavirus resistono agli anticorpi neutralizzanti dei guariti e dei vaccinati, riducendone l’efficacia. Inoltre eludono completamente un anticorpo monoclonale utilizzato come terapia anti COVID. La variante inglese viene invece completamente bloccata come il ceppo originale.
A cura di Andrea Centini
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Le varianti sudafricana e brasiliana del coronavirus SARS-CoV-2 riescono a eludere completamente un anticorpo monoclonale utilizzato come terapia nei pazienti con COVID-19, inoltre vengono inibite solo parzialmente dagli anticorpi neutralizzanti, sia quelli prodotti dai guariti dall'infezione naturale che quelli derivati dal vaccino. In altri termini, queste varianti emergenti presentano un certo grado di resistenza contro l'immunità naturale e quella scaturita dai farmaci, pertanto possono rappresentare un serio ostacolo nella lotta alla pandemia, entrata nel vivo proprio grazie all'avvio della più grande campagna vaccinale nella storia dell'umanità. Fortunatamente la variante inglese viene contrastata efficacemente sia dagli anticorpi monoclonali che da quelli neutralizzanti.

A determinare che la variante sudafricana (conosciuta anche come B.1.351 e 501Y.V2) e quella brasiliana (P.1 o Variant of Concern 202101/02 e 20J / 501Y.V3) hanno queste proprietà evasive è stato un team di ricerca guidato da scienziati del Centro tedesco per i primati (DPZ) – Leibniz Institute for Primate Research di Gottinga e della Facoltà di Biologia e Psicologia dell'Università Georg-August, che hanno collaborato con i colleghi dell'Istituto di virologia molecolare – Centro medico dell'Università di Ulm, del Dipartimento di Medicina Interna dell'Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Nürnberg e di altri istituti tedeschi. Gli scienziati, coordinati dai professori Stefan Pöhlmann e Markus Hoffmann dell'Unità di Biologia delle infezioni presso il DPZ, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto specifici esperimenti con cellule in coltura.

Sfruttando pseudoparticelle, i ricercatori tedeschi hanno testato la capacità dei vari lignaggi del virus di accedere all'interno delle cellule umane. Com'è noto il coronavirus SARS-CoV-2 sfrutta la proteina S o Spike come un “grimaldello biologico” per agganciarsi al recettore ACE-2 delle nostre cellule, rompere la parete cellulare, riversare all'interno l'RNA virale e avviare il processo di replicazione, che è alla base dell'infezione (chiamata COVID-19). I nostri anticorpi, sia quelli prodotti da un'infezione naturale che quelli dovuti al vaccino, puntano a colpire proprio la proteina Spike, ma se questa muta, dando vita a varianti di preoccupazione (come appunto la inglese, la sudafricana e la brasiliana), è possibile che riesca a eludere – almeno in parte – la protezione immunitaria. Ed è proprio questo l'esperimento condotto dagli scienziati tedeschi, per verificare quanto le varianti fossero in grado di agganciarsi alle cellule umane e invaderle.

Il primo test è stato eseguito con farmaci antivirali ancora in sviluppo come il Camostat, l'EK-1 e l'EK-1-C4, che hanno tutti dimostrato di bloccare efficacemente l'ingresso di tutte le tipologie di varianti. Al contrario, si legge nell'abstract dello studio, l'ingresso delle varianti sudafricana (B.1.351) e brasiliana (P.1) risultava parzialmente resistente all'anticorpo monoclonale Casirivimab e completamente al Bamlanivimab, entrambi utilizzati come terapie anti COVID. Come ultimo test, il professor Pöhlmann e colleghi hanno esposto le varianti al plasma di pazienti COVID convalescenti e al siero di soggetti cui era stato inoculato il vaccino anti COVID di Pfizer-BioNtech BNT162b2; sia nel primo che nel secondo caso l'ingresso delle varianti brasiliana e sudafricana è stato inibito in modo meno efficiente rispetto al ceppo originale del virus.

“Abbiamo scoperto che alcuni agenti antivirali che bloccano l'ingresso nella cellula ospite e sono in (pre) sviluppo clinico inibiscono i virus mutanti così come il virus originale. La variante B1.1.7, che si sta attualmente diffondendo rapidamente in Germania, è stata anche efficacemente inibita da anticorpi, inclusi gli anticorpi indotti dalla vaccinazione. Al contrario, un anticorpo utilizzato per la terapia COVID-19 non ha inibito le varianti B.1.351 e P.1. Inoltre, queste varianti erano inibite meno bene dagli anticorpi di individui convalescenti o vaccinati, hanno parzialmente bypassato l'effetto neutralizzante degli anticorpi”, ha dichiarato in un comunicato stampa il coautore dello studio Jan Münch. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 variants B.1.351 and P.1 escape from neutralizing antibodies” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Cell.

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