Perché i non vaccinati possono diventare delle “fabbriche di varianti” del coronavirus
Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa delle vaccinazioni di Our World in Data in Italia risultano 53,6 milioni di dosi di vaccino anti Covid somministrate, con 20,1 milioni di individui completamente vaccinati (pari al 33,3 percento della popolazione). Ciò significa che vi è ancora una percentuale significativa di persone non ancora immunizzata, per scelta o semplicemente perché ancora in lista d'attesa per l'inoculazione. Tutti coloro che non sono immunizzati, spiegano gli esperti, non solo rischiano di sviluppare la forma grave e potenzialmente letale della COVID-19, l'infezione provocata dal patogeno pandemico, ma rappresentano delle vere e proprie potenziali “fabbriche di varianti”. A sottolinearlo alla CNN il professor William Schaffner, docente presso la Divisione di Malattie Infettive del Centro Medico dell'Università Vanderbilt. Lo scienziato ha affermato che maggiore è il numero di persone non immunizzate, superiori sono anche le opportunità per il coronavirus di diffondersi, mutare e dar vita a nuovi ceppi pericolosi.
Come qualunque altro patogeno, del resto, anche il SARS-CoV-2 muta continuamente replicandosi nell'ospite infettato. Nella stragrande maggioranza dei casi, fortunatamente, queste mutazioni sono del tutto innocue e insignificanti, tuttavia, qualora dovessero emergere (casualmente) in alcuni punti critici della struttura virale – come ad esempio la proteina S o Spike utilizzata per agganciarsi alle cellule umane e infettarle – e imporsi, allora possono dar vita a lignaggi potenzialmente problematici. Quelli che danno origine a nuovi focolai/catene di trasmissione e sono ancora al vaglio degli esperti prendono il nome di varianti di interesse (VOI); quelli che invece hanno caratteristiche acclarate di maggiore trasmissibilità, virulenza/aggressività e capacità di eludere gli anticorpi neutralizzanti, sia quelli indotti dai vaccini che quelli di una precedente infezione naturale, prendono il nome di varianti di preoccupazione (VOC, variants of concern). Al momento ce ne sono diverse considerate una minaccia per la salute pubblica, come la Alfa (ex inglese B.1.1.7); la Beta (ex sudafricana B.1.351); la Gamma (ex brasiliana P.1); e soprattutto la Delta (ex seconda variante indiana B.1.617.2), divenuta dominante nel Regno Unito e in costante crescita nel resto d'Europa e negli Stati Uniti. Nel mirino degli esperti anche la variante Epsilon, precedentemente nota come variante californiana.
Il professor Schaffner spiega che le varianti continuano a evolversi nell'organismo delle persone contagiate e, durante il periodo dell'infezione, possono dar vita a lignaggi ancor più subdoli e pericolosi. La replicazione è il meccanismo di base che dà il via alla formazione delle mutazioni, frutto di errori casuali nel processo di copia e agevolate dalla diffusione all'interno delle comunità. Il virus, in pratica, muta se può diffondersi, ma se si trova innanzi a un muro di persone vaccinate ovviamente incontra maggiori difficoltà. “Più permettiamo al virus di diffondersi, più opportunità ha il virus di cambiare”, aveva chiosato a giugno l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).“Quando si verificano mutazioni nei virus, quelle che persistono sono quelle che rendono più facile la diffusione del virus nella popolazione”, ha dichiarato alla CNN il professor Andrew Pekosz, docente di Microbiologia e Immunologia presso la Scuola di Salute Pubblica Johns Hopkins Bloomberg. Per tutte queste ragioni è fondamentale che quante più persone possibili si immunizzino, per evitare di fornire "assist" al patogeno che continuerebbe a mutare all'indefinito, col rischio che emergano nuove varianti in grado di aggirare anche i vaccini.
La variante Delta ha dimostrato di abbattere in modo significativo l'efficacia della prima dose dei vaccini, che risulta essere attorno al 33 percento per lo Pfizer e l'AstraZeneca; fortunatamente con la doppia dose viene ben contrastata e anche per questo nelle campagne vaccinali si è deciso di avvicinare le date tra prima e seconda iniezione, dopo le dilatazioni scelte in precedenza. Una situazione particolarmente preoccupante è nelle aree in cui c'è una bassa copertura vaccinale, in cui il virus non solo si diffonde agevolmente tra i non vaccinati, ma può anche adattarsi alle poche che sono vaccinate per selezione naturale, rappresentando un ulteriore pericolo per la salute pubblica. Il consiglio degli esperti, dunque, resta sempre lo stesso: vaccinarsi tutti e il più presto possibile.