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Lo smog aumenta la mortalità per COVID-19: +11% con basse concentrazioni di polveri sottili

Revisionando i dati di un precedente studio pubblicato in aprile, un team di ricerca dell’autorevole Scuola di Salute Pubblica “TH Chan” dell’Università di Harvard ha determinato che nelle aree più inquinate si muore di più per COVID-19, l’infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2. Nello specifico, il tasso di mortalità aumenta dell’11% con appena un microgrammo in più per metro cubo d’aria di polveri sottili PM 2.5.
A cura di Andrea Centini
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L'inquinamento atmosferico aumenta la mortalità per COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, anche in concentrazioni piuttosto basse. È sufficiente infatti l'esposizione prolungata a un solo microgrammo in più per metro cubo d'aria di polveri sottili per ottenere un incremento dell'11 percento nel tasso di mortalità per COVID-19 in una data area. Questo dato potrebbe spiegare (almeno in parte) la ragione per cui sono stati registrati picchi di decessi proprio nelle zone più fortemente inquinate, fra le quali figurano anche alcune aree urbane e industriali del Nord Italia.

A determinare che lo smog può catalizzare la pericolosità dell'infezione da SARS-CoV-2 è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati della prestigiosa Scuola di Salute Pubblica “TH Chan” dell'Università di Harvard, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze dei Dati presso il Dana-Farber Cancer Institute di Boston. Gli scienziati, coordinati dal professor Wu, docente presso il Dipartimento di Biostatistica dell'ateneo statunitense, hanno condotto il nuovo studio revisionando i dati della loro precedente indagine “Air pollution and COVID-19 mortality in the United States: Strengths and limitations of an ecological regression analysispubblicata nel mese di aprile nel database online MedrXiv (una ricerca preliminare non sottoposta a revisione paritaria).

La nuova ricerca peer-reviwed non cambia il succo dei risultati già ottenuti; le uniche differenze risiedono nel periodo preso in esame per la nuova analisi, esteso fino a giugno, e il fatto che l'impennata della mortalità per COVID-19 associata all'inquinamento è cresiuta del 3 percento, passando dall'8 percento all'11 percento, sempre tenendo in considerazione l'aumento di un microgrammo per metro cubo di polveri sottili. Nello specifico, Wu e colleghi si sono concentrati sul particolato sottile PM 2.5, ovvero quello composto da particelle con un diametro medio uguale o inferiore ai 2.5 micrometri (milionesimi di metro). Gli scienziati hanno indagato sulla correlazione tra tassi di decessi e livelli di inquinamento nelle contee statunitensi, ma poiché erano sufficienti bassi livelli di inquinanti per ottenere un sensibile balzo in avanti nella mortalità, si ritiene che le percentuali rilevate siano applicabili in qualunque parte del mondo.

“Questo lavoro si aggiunge a un numero crescente di studi che trovano un collegamento tra inquinamento atmosferico e COVID-19, e fornisce chiarimenti per future ricerche che possono esaminare più in dettaglio quali sostanze inquinanti stanno guidando questi cambiamenti e quali potrebbero essere i vantaggi delle misure per ridurre questi inquinanti”, ha dichiarato il professor Mark Miller, ricercatore dell'Università di Edimburgo non coinvolto nello studio. Lo scienziato ha sottolineato che si tratta di associazioni di grande interesse, tuttavia vanno capiti a fondo i principi biologici che determinano questo aumento di mortalità nelle aree inquinate. “Questi risultati potrebbero emergere semplicemente perché sia l'inquinamento atmosferico che la COVID-19 colpiscono gli stessi gruppi vulnerabili – gli anziani, chi soffre di malattie respiratorie o cardiovascolari -, oppure sta succedendo qualcosa di più? Il coronavirus e l'inquinamento atmosferico potrebbero avere effetti additivi per aumentare il rischio di morte in questi individui? Le particelle sospese nell'aria potrebbero trasportare il virus o lo aiutino ad accedere alle cellule del nostro corpo?”, si chiede Miller. È lecito pensare che un sistema respiratorio sottoposto a stress cronico da inquinamento, possa essere maggior mente esposto all'aggressione del patogeno emerso in Cina.

Lo studio americano sembra confermare quanto emerso da una ricerca guidata da scienziati della Società italiana di medicina ambientale (Sima), che ha trovato un’associazione tra i picchi di polveri sottili PM10 e PM2,5 nel Nord Italia e una diffusione superiore dei contagi da coronavirus SARS-CoV-2. Non è un caso che proprio nelle regioni settentrionali sia stata registrata la stragrande maggioranza dei decessi durante la prima ondata tra febbraio e aprile. I dettagli della ricerca “Air pollution and COVID-19 mortality in the United States: Strengths and limitations of an ecological regression analysis” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Advances.

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