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Covid 19

La vitamina D può alleviare ma non prevenire le infezioni respiratorie, secondo uno studio

Analizzando i dati di oltre 16mila cittadini australiani cui è stato un integratore di vitamina D o un placebo ogni mese per un massimo di cinque anni, un team di ricerca del QIMR Berghofer Medical Research Institute di Brisbane ha dimostrato che la vitamina D non previene le infezioni respiratorie come influenza e raffreddore, ma può alleviare i sintomi e ridurre la durata delle malattie.
A cura di Andrea Centini
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La Vitamina D, un prezioso complesso di pro-ormoni liposolubili che si ottiene principalmente attraverso l'esposizione alla luce solare e con determinati alimenti, svolge numerose funzioni importanti nel nostro organismo, tra le quali figurano anche quelle immunitarie. Non a caso la carenza di questa vitamina – tecnicamente un gruppo di 5 distinte vitamine – è stata associata a un rischio maggiore di sviluppare infezioni virali e altre malattie, oltre a una maggiore gravità delle stesse. Diversi studi recenti hanno determinato che una carenza di vitamina D può influenzare anche la gravità della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. Un nuovo studio ha tuttavia dimostrato che gli integratori a base di vitamina D non prevengono l'insorgenza di malattie virali respiratorie (alla stregua del raffreddore e dell'influenza), ma potrebbero comunque aiutare ad alleviarne i sintomi e a renderle meno durature.

A condurre lo studio un team di ricerca australiano guidato da scienziati del QIMR Berghofer Medical Research Institute di Brisbane, che hanno collaborato con i colleghi del Menzies Institute for Medical Research dell'Università della Tasmania, della School of Exercise and Nutrition Sciences dell'Università della Tecnologia del Queensland, dell'Università di Sydney e di altri istituti della “terra dei canguri”. Gli scienziati, coordinati dai professori Penelope M. Webb, David C. Whiteman e Rachel E. Neale, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato statisticamente i dati sanitari auto-dichiarati di circa 16mila cittadini australiani tra i 60 e gli 84 anni coinvolti nello studio D-Health Trial. Ai partecipanti è stato somministrato un integratore di Vitamina D o un placebo ogni mese, per un periodo massimo di cinque anni. Tutti hanno dovuto compilare diari e questionari riportando costantemente il proprio stato di salute.

Incrociando tutti i dati, è emerso che sia i pazienti trattati con vitamina D che quelli col placebo non hanno mostrato differenze nell'insorgenza delle patologie respiratorie. “Il nostro studio clinico ha dimostrato che le persone che hanno assunto integratori di vitamina D sono state infettate da raffreddore e influenza con lo stesso tasso di quelle cui è stato somministrato il placebo”, ha dichiarato in un comunicato stampa la professoressa Neal. Ciò nonostante, coloro che hanno ricevuto gli integratori di vitamina D “in media hanno riferito una piccola riduzione del numero di giorni in cui hanno manifestato i sintomi (in media circa mezza giornata)”, ha aggiunto l'esperta. In altri termini, la vitamina D non ha offerto alcun beneficio nel prevenire le infezioni respiratorie, ma ha comunque attenuato – seppur di poco – i sintomi delle stesse. “I risultati suggeriscono che la vitamina D potrebbe dare un piccolo contributo al sistema immunitario, ma è improbabile che fornire integratori di vitamina D alla popolazione generale possa proteggere le persone dall'ammalarsi, inoltre non migliorerà notevolmente la velocità di recupero”, ha aggiunto la scienziata.

I ricercatori sanno che lo studio presenta diversi limiti, e uno in particolare è legato al fatto che l'indagine è stata condotta in Australia, dove non sussiste un problema di carenza di vitamina D come altrove, dove gli integratori potrebbero offrire maggiori benefici. “È importante notare che questo studio è stato condotto sugli australiani, e la maggior parte dei partecipanti non aveva carenza di vitamina D all'inizio. È possibile che si osservi un maggiore effetto protettivo nei Paesi in cui un'alta percentuale della popolazione è carente di vitamina D”, ha concluso la scienziata. Sottolineiamo che lo studio ha raccolto dati prima della pandemia di COVID-19 e i risultati non possono fare riferimento all'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, che pur essendo di tipo respiratorio ha comunque dinamiche molto diverse da un raffreddore o un'influenza. Lo studio “Vitamin D sufficiency, a serum 25-hydroxyvitamin D at least 30 ng/mL reduced risk for adverse clinical outcomes in patients with COVID-19 infection”, ad esempio, ha dimostrato che livelli adeguati di vitamina D rappresentano un fattore protettivo contro l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2, mentre uno studio del The Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust e dell'Università dell'East Anglia ha rilevato un'associazione con la mortalità superiore per COVID-19 nelle popolazioni con vitamina D carente. I dettagli della ricerca australiana “The effect of vitamin D supplementation on acute respiratory tract infection in older Australian adults: an analysis of data from the D-Health Trial” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet Diabetes & Endocrinology.

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