La variante Delta è suddivisa in tre linee “figlie”: qual è la più preoccupante e perché
Come ogni altro virus, anche il SARS-CoV-2 muta continuamente diffondendosi nelle comunità e replicandosi nell'ospite. Nella maggior parte dei casi, sottolineano gli esperti, queste mutazioni sono del tutto insignificanti e non determinano alcun vantaggio (o svantaggio) al patogeno, talune volte, tuttavia, possono dar vita a varianti in grado di peggiorare significativamente gli effetti della pandemia. È il caso delle varianti di preoccupazione (VOCs – Variants of Concern), che possono ad esempio essere più trasmissibili, provocare una malattia più aggressiva o dimostrare capacità di resistenza verso gli anticorpi neutralizzanti, sia quelli indotti da una precedente infezione naturale che quelli dal vaccino. Tra le varianti di preoccupazione più temute dagli scienziati in questa fase della pandemia di COVID-19 vi è indubbiamente la variante Delta, scoperta per la prima volta in India nell'ottobre dello scorso anno. Nel Regno Unito è alla base di quella che viene ormai definita come la “terza ondata”, con un raddoppio dei nuovi casi ogni 11 giorni (soprattutto tra giovani e non vaccinati).
A guidare l'impennata della curva epidemiologica in Gran Bretagna è una versione specifica della variante Delta, che si divide in tre linee figlie, originate proprio a causa del costante evolvere del coronavirus SARS-CoV-2. Si tratta della variante Delta B.1.617.2, conosciuta in precedenza come “seconda variante indiana”, prima della decisione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di adottare per le varianti di preoccupazione e di interesse le lettere dell'alfabeto greco, al fine di evitare lo stigma geografico e migliorare la comprensibilità delle comunicazioni. Le altre due sono la ex “prima variante indiana” B.1.617.1 e la ex “terza variante indiana” B.1.617.3. A differenza di queste ultime, la variante Delta B.1.617.2 è caratterizzata da una trasmissibilità superiore fino al 60 percento rispetto alla ex variante inglese (B.1.1.7) o variante Alfa, che ha guidato i contagi durante la seconda ondata della pandemia lo scorso inverno, pertanto è considerata molto più problematica della altre.
A renderla così subdola la presenza della mutazione K417N, rilevata anche nelle ex varianti sudafricana (variante Beta) e brasiliana (variante Gamma), e la mutazione E484Q di “fuga immunitaria”, cioè in grado di offrire una certa resistenza agli anticorpi neutralizzanti. Secondo un nuovo studio condotto dagli scienziati dell'Istituto di genomica e biologia integrativa (Igib) del Consiglio nazionale delle ricerche indiano (CSIR), la seconda variante indiana ha dato vita a un'altra linea figlia, che gli esperti identificano con il nome in codice di B.1.617.2.1 o AY.1. Diffusasi già in diversi Paesi, a causa di una specifica mutazione potrebbe essere caratterizzata da una maggiore resistenza ai vaccini e alle terapie con anticorpi monoclonali, ma gli scienziati sono ancora a lavoro per studiarne a fondo le peculiarità.