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Il “segreto” della longevità nel sangue dei supercentenari: prof. Carninci ci racconta la scoperta

Abbiamo intervistato il professor Piero Carninci, vicedirettore del RIKEN Center for Integrative Medical Sciences (IMS) e tra i principali autori di uno studio che ha scoperto un’elevata concentrazione di particolari cellule immunitarie nel sangue dei supercentenari. Potrebbero essere proprio queste cellule il “segreto” dell’estrema longevità. Ecco cosa ci ha raccontato lo scienziato.
A cura di Andrea Centini
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Emma Morano, la supercentenaria di Verbania scomparsa nel 2017 a 117 anni
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Un team di ricerca dell’istituto RIKEN Center for Integrative Medical Sciences di Yokohama e dell’Università Keio (Giappone) ha dimostrato che le persone con più di 110 anni di età, i cosiddetti “supercentenari”, hanno un sottogruppo di cellule T del sistema immunitario in concentrazioni sensibilmente superiori alla norma. Si tratta dei linfociti T CD4 con capacità citotossiche, che sarebbero in grado di proteggere da tumori e infezioni. Potrebbero dunque essere proprio queste cellule il “segreto” dell'estrema longevità dei supercentenari. Per comprendere meglio i risvolti dell'affascinante ricerca abbiamo intervistato il professor Piero Carninci, vicedirettore del RIKEN Center for Integrative Medical Sciences e uno degli autori principali dello studio. Ecco cosa ci ha raccontato.

Professor Carninci, lei e il suo team dell'Istituto RIKEN in Giappone avete scoperto che le persone con più di 110 anni di età (i cosiddetti supercentenari) hanno un numero sensibilmente superiore di cellule chiamate linfociti T CD4, che giocherebbero un ruolo nel proteggerli da infezioni e tumori e che dunque sarebbero alla base della loro longevità. Cosa hanno di “speciale” queste cellule? E in che modo agiscono?

Sono esattamente i linfociti T CD4 CITOTOSSICI. Si tratta di cellule che sembra rappresentino un adattamento che accompagna la longevità, probabilmente legate alla “battaglia” che fa il sistema immunitario. Non conosciamo ancora il target naturale di questi linfociti, ma abbiamo dei sospetti: potrebbero essere una risposta ad antigeni tumorali oppure a virus che attaccano frequentemente l'uomo. È da notare che i supercentenari hanno veramente una salute di ferro per la maggior parte della loro lunga vita.

Perché avete deciso concentrarvi proprio sulle cellule immunitarie dei supercentenari per indagare sul “segreto della longevità”?

Le cellule del sangue si possono isolare facilmente, non altri tessuti che si possono prendere soltanto dopo la morte. Sarebbe molto importante anche studiare il cervello, anche perché i supercentenari sono lucidi gran parte della loro vita, e la demenza senile insorge soltanto negli ultimi anni. Le cellule del sangue, inoltre, non sono soltanto facilmente prelevabili, ma contengono anche il sistema immunitario circolante. Attraverso metodi genomici abbiamo sequenziato tutte le cellule dei vari campioni, perché non avevamo il sospetto di ciò che avremmo trovato. Poi, come fattore più evidente, è emersa questa classe di linfociti.

Rilevando un numero abbondante di queste cellule in una persona giovane è dunque possibile ipotizzare che avrà (probabilmente) una vita più lunga e sana rispetto alla media?

Questo non è chiaro, forse no (spero di no, anche perché uno dei campioni usati come controllo era mio e ne ho veramente molto pochi!). Dobbiamo includere nelle ricerche anche campioni di 90enni e centenari, per capire meglio quando aumentano, e se aumentano e quando questo adattamento succede.

Sapendo che un buon numero di linfociti T CD4 rappresenta una sorta di fattore protettivo, è possibile pensare alla realizzazione di un farmaco o di un approccio terapeutico in grado di offrire i suoi benefici?

Questa è un'ottima domanda, già fatta da altri colleghi. Sì, si potrebbe pensare di stimolare queste cellule per aumentare la protezione, in particolar modo nell'anziano. Ma prima sarà importante capire a cosa si legano (ci stiamo pensando) per capire esattamente la strategia da seguire. Sembra che queste cellule siano state trovate anche nei topi fatti invecchiare; sarà importante capire se il topo è un buon modello di invecchiamento.

I centenari sono molti, mentre i supercentenari sono pochissimi. C'è una differenza sostanziale tra le cellule immunitarie dei primi e quelle dei secondi? In fondo anche il primo è un bel “traguardo”.

Non abbiamo ancora guardato i centenari, ma è chiaro che questo è nella lista delle cose da fare. Bisognerà guardare anche all'infiammazione: i supercentenari hanno parametri di infiammazione molto bassa fino quasi alla fine. L'invecchiamento causa un'infiammazione crescente e poco specifica, in tutto l' organismo.

Quale sarà il prossimo passo della vostra ricerca?

Alcune delle cose indicate prima. Capire cosa attaccano queste cellule, se questo previene altre forme di infiammazione. Poi bisogna capire se ci sono cause genetiche, perché i supercentenari hanno una salute di ferro che viene tramandata parzialmente ai loro figli. I loro figli, che hanno in media ~80 anni, hanno mediamente una salute migliore dei loro sposi/spose. Quindi sequenziarne il genoma di un certo numero (ma non ce ne sono tanti) dovrebbe aiutare a capire qual è il genoma perfetto, confrontato agli altri genomi normali. E magari capire come stimolare alcune pathways, o favorire un "healthy aging".

Non so se ha letto, ma un team di esperti di medicina tradizionale cinese avrebbe messo a punto un “miracoloso” beverone che permetterebbe di vivere fino a 120 anni di età. Senza solide basi scientifiche a sostegno, naturalmente, un prodotto del genere lascia il tempo che trova; potrebbero tuttavia esistere realmente alimenti o sostanze in grado di rallentare i processi legati all'invecchiamento e contrastarne i rischi? Si parla molto di “superfood”, come ad esempio l'alga giapponese ito-mozuku.

Ognuno ha i suoi Panzironi. Penso che non sia serio presentare questi intrugli prima di dimostrarne l'efficacia. A me sembrava una goliardata. Ovviamente se uno fa intrugli con vitamine, sostanze antinfiammatorie e tutto quello che una buona dieta offre, sicuramente non farà male. Ma è sbagliato promettere pozioni di lunga vita, senza capire.

Tra fare ricerca in Italia e in Giappone c'è una differenza notevole?

Domanda molto complessa. Potrei parlare ore e ore. Beh, il Giappone spende in genere molto di più per la ricerca, ha un sistema di grants per tutti, università e centri di ricerca che è capillare. Più altri grants per grandi progetti. Il Giappone è molto, molto, molto organizzato. È stato per me il posto ideale dove focalizzare tanti interessi. Importante sottolineare che c'è anche tanta pressione per pubblicare. Il RIKEN è speciale, perché abbiamo finanziamenti per grandi progetti, che richiedono coordinazione di tanti gruppi e creano anche risorse un po' per tutti. Quello che non e' fattibile in piccola scala va fatto con grandi progetti, chiamiamoli top-down. È un po' simile al modello proposto da Human Technopole, che potrebbe riportare in Italia questo tipo di scienza.

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