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Covid 19

Il farmaco mavrilimumab abbatte mortalità da coronavirus: lo dimostra studio italiano

Scienziati italiani dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute di Milano hanno dimostrato che l’anticorpo monoclonale mavrilimumab offre sostanziali benefici clinici ai pazienti con COVID-19, l’infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2. Il farmaco antiinfiammatorio abbatte la mortalità e anticipa i tempi di recupero. I risultati andranno confermati in studi più ampi.
A cura di Andrea Centini
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A poche ore di distanza dall'annuncio dell'efficacia contro la COVID-19 del corticosteroide desametasone, un antiinfiammatorio impiegato per trattare artrite, lupus, e altre condizioni, sono stati documentati i promettenti risultati di un'altra terapia sperimentale, basata sull'infusione dell'anticorpo monoclonale mavrilimumab. Anche questo farmaco – scoperto dalla Cambridge Antibody Technology – viene somministrato per combattere l'artrite reumatoide, e nei pazienti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 mostra significativi miglioramenti clinici, garantendo dimissioni anticipate e soprattutto un abbattimento della mortalità. Benché i risultati debbano essere confermati da studi clinici più ampi e controllati con un placebo, il mavrilimumab rappresenta una delle armi più promettenti nel trattamento dei pazienti gravi con COVID-19.

A dimostrare l'efficacia dell'anticorpo monoclonale, ovvero semi-sintetico e prodotto in laboratorio, è stato un team di ricerca italiano composto da scienziati dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e di vari dipartimenti dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Lo studio è stato condotto e coordinato da diversi luminari, tra i quali il reumatologo Giacomo De Luca; il professor Lorenzo Dagna, primario dell’Unità Clinica di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare e docente presso l'ateneo milanese; il professor Alberto Zangrillo, prorettore dell’università e a capo delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare; e il professor Fabio Ciceri, docente di Ematologia e Trapianto di Midollo ed esperto di ricerca clinica.

Per determinare l'efficacia del mavrilimumab, il gruppo di ricerca italiano ha coinvolto in uno studio prospettico di coorte (detto a “centro singolo”) 39 pazienti con COVID-19, tutti ricoverati presso il nosocomio lombardo tra il 17 marzo e il 15 aprile del 2020, quando l'emergenza coronavirus stava colpendo duramente l'Italia. 13 dei 39 pazienti, con un età media di 57 anni e in larga parte uomini (92 percento), sono stati sottoposti al trattamento standard anti COVID-19 e a quello sperimentale con l'anticorpo monoclonale, ricevendo una singola dose per via endovenosa (6 milligrammi/kg). Il loro decorso clinico è stato messo a confronto con quello degli altri 26 pazienti (con età media di 60 anni e per il 65 percento uomini), il gruppo di controllo che è stato trattato solo con la terapia standard. Di base tutti i pazienti presentavano polmonite interstiziale – tra le complicanze più comuni – e una diffusa infiammazione sistemica.

Al 28esimo giorno dall'avvio della terapia, tutti i pazienti del gruppo trattato con mavrilimumab ha evidenziato un miglioramento clinico, contro il 65 percento del gruppo di controllo. Nessuno dei pazienti trattati con l'anticorpo monoclonale è deceduto, mentre hanno perso la vita in sette fra quelli cui è stata somministrata la sola terapia standard. Soltanto uno dei pazienti del gruppo mavrilimumab ha avuto bisogno della ventilazione meccanica, contro 9 del gruppo di controllo. Al 14esimo giorno la febbre è scomparsa nel 91 percento dei pazienti, contro il 61 percento di quelli del gruppo di controllo. Il mavrilimumab è stato inoltre ben tollerato dai pazienti, che non hanno manifestato reazioni avverse, mentre nel gruppo di controllo in 3 hanno sviluppato infezioni. Infine, come spiegato dal dottor De Luca in un comunicato stampa, i pazienti trattati con l'anticorpo monoclonale sono stati dimessi in media 10 giorni prima rispetto a quelli del gruppo di controllo.

Ma perché il mavrilimumab risulta essere così efficace? Il “segreto” risiede nel fatto che si tratta di un farmaco immunosoppressore progettato per bloccare una specifica molecola (chiamata GM-CSF) prodotta dal sistema immunitario e legata al processo infiammatorio. Com'è noto la COVID-19 è in grado di scatenare le cosiddette “tempeste di citochine” in alcuni pazienti, reazioni immunitarie spropositate che possono danneggiare seriamente gli organi e determinare il decesso. È per questo che farmaci antiinfiammatori come il tocilizumab, il desametasone e il mavrilimumab – che viene usato per contrastare le complicazioni dell'arterite a cellule giganti – possono risultare efficaci nel trattamento della COVID-19, soprattutto se usati precocemente.

“L’idea di bloccare la molecola GM-CSF per contrastare Covid-19 è nata proprio dalla nostra esperienza sull’arterite a cellule giganti. Oggi siamo i primi al mondo a dimostrare che si tratta di una strategia sicura ed efficace in COVID-19”, ha dichiarato Lorenzo Dagna. “Sono risultati che confermano l’importanza di interferire il più in alto possibile nella cascata di segnali infiammatori che causa la malattia, ma che dovranno essere confermati in studi più ampi, in cui poter controllare l’efficacia del farmaco rispetto a un placebo”. I dettagli della ricerca italiana “GM-CSF blockade with mavrilimumab in severe COVID-19 pneumonia and systemic hyperinflammation: a single-centre, prospective cohort study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata The Lancet Rheumatology.

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