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Covid 19

Il coronavirus può resistere per un mese nella polvere

Analizzando campioni di polvere recuperati dalle stanze in cui hanno alloggiato i pazienti con COVID-19, un team di ricerca americano guidato da scienziati dell’Università Statale dell’Ohio ha dimostrato che è possibile rilevarvi l’RNA del coronavirus SARS-CoV-2 anche a un mese di distanza. Secondo gli esperti, la polvere potrebbe essere usata come metodo di sorveglianza per la pandemia, analogamente alle acque reflue.
A cura di Andrea Centini
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Il coronavirus SARS-CoV-2 può persistere anche un mese nella polvere che si deposita sul pavimento e in altri spazi dei locali frequentati dai contagiati. A causa della permanenza prolungata dell'RNA virale, secondo gli esperti l'analisi della polvere può essere un ottimo metodo per monitorare l'emersione di eventuali focolai all'interno di specifici edifici, in particolar modo di ospedali, case di cura e altre strutture sensibili. Potrebbe infatti funzionare come una sorta di “campanello d'allarme” alla stregua delle acque reflue, dalla cui analisi è possibile determinare la diffusione della COVID-19 (l'infezione provocata dal patogeno pandemico) in quartieri, città, università e grandi strutture. A Madrid così come in alcune città americane, le concentrazioni virali nelle fogne hanno permesso alle amministrazioni locali di intervenire con lockdown mirati e preventivi, prima dello scoppio di nuovi focolai. La polvere funzionerebbe solo in scala più piccola.

A individuare il coronavirus SARS-CoV-2 nella polvere e a determinarne la persistenza è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del College di Ingegneria e del College di Salute Pubblica dell'Università Statale dell'Ohio, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale e Scienze della Terra dell'Università di Notre Dame (Indiana). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Karen Dannemiller, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Geodetica dell'ateneo statunitense, studiano da anni i patogeni che possono annidarsi nella polvere (come muffe e batteri), dunque hanno deciso di indagare anche sulla potenziale presenza (e resistenza) del SARS-CoV-2. Hanno ingaggiato squadre di pulizie impegnate in diversi ambienti in cui hanno alloggiato pazienti con COVID-19, comprese le case degli studenti, e hanno analizzato la polvere raccolta dalle operazioni. Sono stati effettuati anche alcuni tamponi sulle superfici delle stanze. Prima degli interventi, le squadre di pulizia hanno decontaminato l'ambiente con un disinfettante a base di cloro.

Dall'analisi condotte in laboratorio, la professoressa Dannemiller e i colleghi hanno rintracciato il materiale genetico del coronavirus nel 97 percento dei campioni di polvere sfusa e nel 55 percento dei tamponi superficiali. Nonostante la significativa presenza dell'RNA virale nella polvere, gli autori dello studio sottolineano che non si sta affatto affermando che la polvere sia infettiva o un metodo "alternativo" di trasmissione. Del resto, anche a causa del trattamento decontaminante a base di cloro, nella polvere gli scienziati hanno trovato i resti del materiale genetico appartenente alla porzione centrale delle particelle virali; il "guscio" lipidico esterno del coronavirus (pericapside o peplos) costellato dalla proteina S o Spike – quella che serve per agganciarsi alle cellule umane e infettarle – è risultato distrutto. Secondo gli studiosi anche la sola permanenza nella polvere può favorire il deterioramento dell'involucro di grasso del virus. Gli scienziati hanno analizzato i campioni non appena sono stati consegnati loro e poi ogni settimana; come indicato, l'RNA virale era ancora ben rilevabile nella polvere a un mese di distanza.

“Non eravamo sicuri che il materiale genetico sarebbe sopravvissuto – ci sono molti organismi diversi nella polvere, e non eravamo sicuri che avremmo rilevato l'RNA virale. Siamo rimasti sorpresi quando abbiamo scoperto che lo stesso RNA sembra durare a lungo”, ha dichiarato in un comunicato stampa la coautrice dello studio Nicole Renninger. Proprio per questa notevole persistenza nell'ambiente, i ricercatori ritengono che la polvere possa dare un significativo contributo nella gestione e nella sorveglianza della pandemia, come le acque reflue ma per ambienti più piccoli. “Le acque reflue sono ottime per una vasta popolazione, ma non tutti diffondono il virus attraverso le feci e devi raccogliere campioni di acque reflue, un'operazione che non tutti vogliono fare. Le persone stanno già passando l'aspirapolvere in queste stanze, quindi la polvere potrebbe essere una buona opzione per alcuni gruppi”, ha specificato la professoressa Dannemiller. I dettagli della ricerca “Indoor Dust as a Matrix for Surveillance of COVID-19” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica mSystems.

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