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Covid 19

Il coronavirus “preferisce” il clima freddo e secco: la ricerca italiana

I due naturalisti Gentile Francesco Ficetola e Diego Rubolini dell’Università degli studi di Milano hanno determinato che il coronavirus SARS-CoV-2 si diffonde più velocemente in presenza di un clima freddo e secco, nello specifico, con temperatura attorno ai 5 gradi e un’umidità compresa tra 0,6 e 1 kilopascal.
A cura di Andrea Centini
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Osservando la mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins, il coronavirus SARS-CoV-2 ha ormai praticamente raggiunto ogni angolo del mondo, ad eccezione dell'Antartide. Non è un caso che l'Organizzazione Mondiale della Sanità abbia deciso di annunciare lo stato di pandemia della COVID-19, l'infezione scatenata dal patogeno, che nel momento in cui stiamo scrivendo ha contagiato oltre 877mila persone e ne ha uccise circa 43.500 (in Italia si registrano 105mila contagi e 12.428 vittime, ma i numeri sarebbero molto più alti, come specificato a fanpage dal professor Federico Ricci-Tersenghi)

Nonostante questa rapida diffusione in tutto il globo, il coronavirus sembrerebbe preferire il clima freddo e secco. A determinarlo sono stati due scienziati italiani, i due naturalisti Gentile Francesco Ficetola e Diego Rubolini dell'Università degli studi di Milano, rispettivamente specializzati in erpetologia (lo studio di rettili e anfibi) e ornitologia, ovvero lo studio degli uccelli. I due ricercatori ovviamente non si sono concentrati sugli aspetti medici della pandemia, ma sui fattori ambientali – compresa la variabilità climatica stagionale – che possono giocare un ruolo nella diffusione di una patologia infettiva.

Come spiegato a fanpage dal professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università degli studi di Milano, non è ancora chiaro quale possa essere l'impatto della bella stagione sulla diffusione della COVID-19 (lo studioso ci ha fatto l'esempio del virus dell'influenza suina H1N1 che si è diffuso “fuori stagione”), tuttavia i due naturalisti sono riusciti a trovare un legame tra focolai epidemici scatenati dal SARS-CoV-2 e temperature. “Abbiamo valutato gli effetti della temperatura e dell'umidità sui modelli globali delle dinamiche dei focolai iniziali della COVID-19 nel periodo gennaio-marzo 2020. Le variabili climatiche sono state i migliori driver nella variazione globale dei tassi di crescita dei casi confermati di COVID-19”, scrivono Ficetola e Rubolini nell'abstract del proprio lavoro. I due scienziati hanno rilevato che “i tassi di crescita hanno raggiunto il picco nelle regioni temperate dell'emisfero settentrionale con una temperatura media di circa 5 gradi e un'umidità di circa 0,6 – 1 kilopascal durante il mese dell'epidemia, mentre sono diminuiti nelle regioni più calde e fredde”.

Alla luce di questa osservazione, i due ricercatori ipotizzano l'esplosione di focolai epidemici importanti nell'emisfero australe nei prossimi mesi, considerando che sta entrando adesso nella “stagione fredda” (è appena iniziato l'autunno). Lo studio “Climate Affects Global Patterns Of Covid-19 Early Outbreak Dynamics” è in attesa di pubblicazione su una rivista scientifica e deve essere ancora sottoposto a revisione paritaria, ma è già consultabile online nel database MedrXiv.

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