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Coronavirus, in Italia grande sottostima di contagi e decessi: i dati spiegati dall’esperto

La comprensione dei dati sull’impatto del coronavirus in Italia pubblicati dalla Protezione Civile non è agevole, anche alla luce del fatto che molti esperti li ritengono poco chiari e soprattutto pertinenti alla realtà. Per comprendere meglio la situazione abbiamo intervistato il professor Federico Ricci-Tersenghi, docente di Fisica Teorica e Computazionale presso il Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza di Roma. Lo scienziato pubblica post su Facebook con grafici e altre indicazioni che aiutano molto nella “lettura” di questi dati. Ecco cosa ci ha raccontato.
Intervista al Dott. Federico Ricci-Tersenghi
Professore di Fisica Teorica e Computazionale presso il Dipartimento di Fisica dell'Università Sapiena di Roma
A cura di Andrea Centini
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Ogni giorno, durante la conferenza stampa della Protezione Civile che si tiene alle 18:00, vengono divulgati i dati aggiornati relativi all'impatto della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 sul territorio italiano, con particolare riferimento a nuovi contagi, decessi, guariti e via discorrendo. È ormai acclarato che ci troviamo innanzi a numeri sensibilmente sottostimati rispetto alla realtà dei fatti, inoltre la presentazione degli stessi spesso pecca dell'opportuna chiarezza, come sottolineato da diversi esperti che si occupano di curve di crescita, analisi di dati epidemiologici e simili. Tra chi si sta impegnando ad elaborarli più a fondo, provando a estrapolare informazioni utili dal punto di vista predittivo, vi è il professor Federico Ricci-Tersenghi, docente di Fisica Teorica e Computazionale presso il Dipartimento di Fisica dell'Università Sapienza di Roma. Lo studioso pubblica sulla propria pagina Facebook analisi certosine impreziosite da grafici che aiutano meglio a valutare la situazione in cui ci troviamo e dove potremmo “andare a parare”, pur sottolineando l'importanza di non giungere a conclusioni affrettate. Lo abbiamo intervistato per comprendere meglio cosa è emerso dal suo prezioso contributo. Ecco cosa ci ha raccontato.

Professor Ricci-Tersegni, innanzitutto ci complimentiamo per il suo lavoro divulgativo, molto chiaro e attento alla correttezza delle informazioni.

Lo sento come un dovere civile. Mi prende un sacco di tempo, ma lo faccio volentieri cercando di aiutare nel mio possibile.

Veniamo alla prima domanda. Alla luce delle sue analisi, quando ritiene si azzereranno i contagi in Italia? Ha fatto una stima in tal senso?

In Italia abbiamo situazioni molto diverse. La situazione in Lombardia è molto diversa da quella delle regioni del Centro-Sud e poi delle regioni della “prima cerchia”, che sono un po' a metà, con delle province un po' più contagiate e altre un po' meno. Quindi non si possono fare affermazioni comuni a tutta l'Italia, bisogna differenziarle, e anche gli approcci per gestire al meglio questa situazione.

Quindi ritiene azzardato stimare una data sull'azzeramento dei contagi

Se io dovessi estrapolare oggi i dati con i modelli a mia disposizione, che ho perfezionato guardando i dati cinesi – gli unici che al momento ho di una epidemia insieme a quelli della Corea del Sud, che però ha adottato delle strategie molto diverse -, non ci permette di imparare abbastanza bene su come analizzare i dati italiani. Se io applicassi il modello cinese a questi dati, mi dice che ci vuole ancora molto tempo. Però la mia speranza è il fatto che noi abbiamo applicato misure restrittive che sono andate via via inasprendosi, mentre i cinesi hanno fatto una cosa drastica in una singola data, e quindi diciamo che lì c'è stato un momento in cui le cose sono cambiate e poi sono rimaste in quel modo. Da noi le cose sono cambiate più gradualmente. Quindi vedremo un miglioramento più graduale. Questo fa sì che io oggi non posso fare previsioni. Perché se tra cinque giorni ci sarà un nuovo cambio, magari non drastico, ma sensibile nelle percentuali dei nuovi casi, quello di oggi non è più predicibile perché noi siamo su un altro trend, mettiamola così, dovuto alle restrizioni del 10 marzo.

La mia speranza è che a un certo punto prenderemo un trend più positivo, quello dovuto alle restrizioni del 20-22 marzo. Quindi ad oggi secondo me sarebbe azzardato fare previsioni, anche perché risulterebbero troppo pessimistiche. Perché effettivamente noi abbiamo migliorato le nostre misure restrittive, quindi c'è la speranza che anche i dati miglioreranno. In alcune regioni vediamo gli effetti delle misure restrittive e quindi le persone devono essere contente che il loro sacrificio, che il nostro sacrificio e di tutti, sta avendo degli effetti. Perché se non ci fossero, sarebbe veramente dura continuare a fare questi sacrifici. E avere la pazienza di aspettare ancora la fine di questa settimana, per vedere se arrivano gli effetti ancor più positivi delle nuove misure. A quel punto, quando saremo entrati in questo nuovo trend auspicabilmente in discesa, allora lì potremo azzardarci a fare qualche previsione, e più che la gente ma il governo si dovrà fare due conti su quando allentare le misure e in che misure allentarle. Quello sarà il prossimo argomento di discussione interessante.

Cosa può dirci sul numero dei contagi e dei decessi? Quelli ufficiali divergono così tanto dalla realtà?

In Lombardia il numero di persone infette è notevolmente superiore ai numeri che vengono comunicati, come anche purtroppo il numero di decessi. E questo si vede molto bene da alcuni casi particolari, come i dati del comune di Nembro citato nel post, che aveva già analizzato Luca Foresti. Quella è una situazione che è un po' sfuggita dal controllo, anche solo del controllo statistico dei dati. Ogni numero dobbiamo moltiplicarlo per un fattore non indifferente, pari a 4, e un fattore 2,5 per Bergamo. Per i decessi è un fattore di quell'ordine di grandezza per tutte le regioni maggiormente colpite. Per i contagiati è molto più difficile da dire perché c'è una frazione di casi asintomatici che non sappiamo ancora quanti sono. Fino ad oggi in Italia non si è ancora fatto uno studio statistico ben fatto su un campione rappresentativo che ci possa dire: se io prendo mille, diecimila persone a caso – a caso vuol dire con un campione significativo, e gli statistici lo sanno fare molto bene questo, è il loro lavoro – quanti ne trovo che risultano positivi al test anche senza avere i sintomi? Se non si fa questa cosa, la vera frazione degli asintomatici non la sapremo mai, perché noi continuiamo a testare coloro che hanno i sintomi. Uno studio fatto da Andrea Crisanti a Vo dice che gli asintomatici arrivavano addirittura al 60 percento. Forse quella è una situazione un po' al limite. Certamente ci aspettiamo che ci sia una frazione molto grande di asintomatici. Quindi prima una grande frazione di asintomatici, poi ci sono più casi di quelli che crediamo anche tra chi sviluppa i sintomi. Coloro che sviluppano i sintomi il giorno X finiscono in ospedale diciamo una settimana, 10 giorni dopo, quindi in realtà quella persona, se viene testata, viene testata nella migliore delle ipotesi 7/10 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Ma dato che i sintomi arrivano in media 5 giorni dopo il contagio, qui stiamo già parlando di due settimane, forse 20 giorni, da quando sei stato contagiato a quando entri nelle statistiche ufficiali. Quindi quando ci viene dato un certo numero dalla Protezione Civile, noi sappiamo che quelli sono coloro che sono stati contagiati, che hanno manifestato sintomi talmente evidenti da entrare nella casistica di coloro che vengono testati, ma solo una ventina di giorni dopo. Quindi che cosa succede: noi in pratica ogni giorno riceviamo un numero, ma quelli che quel giorno sono effettivamente infettati e possono contagiare altri sono molti di più. E noi stimiamo un fattore tra 5 e 10 per ogni caso confermato. E questo era un altro post che avevo condiviso alcuni giorni fa, con i dati del Ministero della Salute. Non mi invento nulla, cerco di essere il più meticoloso possibile. Cerco di non fare delle estrapolazioni basate sulle mie sensazioni, ma mi baso sui dati.

Purtroppo i dati pubblici sono molto pochi, non sono realmente utili per fare delle affermazioni corrette. Quindi diciamo che il numero delle persone infette in circolazione è molto superiore. In Lombardia dove i numeri ufficiali già sono elevati, se ci mettiamo questo fattore ulteriore (e lì potrebbe davvero esserci un fattore 10, è una delle regioni più colpite), se lei guarda il numero di casi confermati, cresce solo quando crescono i tamponi. In qualche maniera non è un numero significativo. Aumentano perché aumentano i tamponi. Se noi li aumentassimo del doppio, il numero dei casi raddoppierebbe. Quel dato non è significativo del numero dei casi veri. Il numero dei casi è significativo del numero dei tamponi fatti. Quindi in quelle regioni, e in particolar modo la Lombardia, il fattore x10 è secondo me molto realistico. Questo vuol dire che la situazione è molto seria, e gestire questo grande numero di infetti richiede un'organizzazione diversa da quello che si può fare nel resto d'Italia.

Nel resto d'Italia i numeri sono più piccoli, lo vediamo. E la cosa buona che mostravo nell'analisi che ho raccontato l'altro ieri, è che in diverse regioni del Centro-Sud, è che al numero di nuovi casi confermati e di nuovi ospedalizzati secondo me possiamo credere, perché il numero dei tamponi fatti in queste regioni è ancora abbastanza grande rispetto a quello dei casi confermati. Quindi questi ultimi non dipendono solo dai tamponi, ma potrebbero rappresentare un'immagine un po' distorta ma verosimile della realtà, e al numero di ospedalizzati ci crediamo abbastanza. Se una persona viene ricoverata è perché necessita di cure. Non stiamo ancora in una situazione in cui gli ospedali sono saturi e vengono rifiutate delle ospedalizzazioni per carenza di spazio. Quindi è un numero realistico. Questi due indicatori per alcune regioni centrali come la Toscana, il Lazio e anche del Sud come la Campania e la Puglia – che in questo momento sono importanti perché con una popolazione numerosa e perché potrebbero aver beneficiato delle misure restrittive del 10 marzo – fanno notare che da una decina di giorni i nuovi casi non aumentano, sono abbastanza costanti, sempre all'interno di grosse fluttuazioni che sono normali in queste misure di un processo che non è sotto il nostro controllo. Però sono abbastanza costanti. Questo fa pensare che le misure del 10 marzo abbiano effettivamente rallentato la crescita e la diffusione dell'epidemia. Però non l'hanno ancora fermata. Noi non vogliamo che quei numeri rimangano circa costanti, noi vogliamo che quei numeri decrescano.

Quello che si osserva oggi dai dati, è che sembrerebbe che le misure restrittive del 10 marzo abbiano rallentato la diffusione dell'epidemia, ma non ancora abbastanza da farla retrocedere. È come se invece di essere arrivati al picco fossimo su un altopiano. Non stiamo più salendo, siamo su un altopiano, ma noi vogliamo scendere. Quindi siamo in trepidante attesa di vedere cosa succederà nei prossimi giorni, perché negli scorsi giorni le misure sono state rese più rigide (diciamo attorno al 20 marzo), quando sono state bloccate più attività produttive. La mia speranza è che nei prossimi giorni si possa vedere, perché il ritardo di questi numeri è sempre di una decina di giorni (5 giorni per l'incubazione e altri 5-7 giorni, forse 10, per quando le persone entrano nelle statistiche). La mia speranza è che durante questa settimana, magari verso la fine della settimana, si possa già vedere una decrescita dei numeri di nuovi contagiati e dei nuovi ospedalizzati, come conseguenza dell'inasprimento delle misure restrittive. Se riusciamo a vedere questo siamo sulla strada giusta e possiamo iniziare a ragionare sul come allentare queste misure, senza rischiare una seconda ondata di contagi. Però per ora dobbiamo starcene a casa.

Sulla base delle sue considerazioni, pensa abbia ancora senso la divulgazione dei dati durante la conferenza stampa della Protezione Civile?

Nel mio post la domanda era provocatoria. La risposta è sì. Nel senso che, per quanto possano essere distorti, sono un'immagine della realtà. Un po' distorta, però. La bravura di chi fa analisi dati è anche estrarre il segnale dal rumore. Per fare un esempio, quando si riceve una fotografia da un satellite che sta a una distanza di minuti, giorni luce da noi, e la fotografia è distorta, non è che la si può riscattare. Si deve fare quello che si può con i dati. Quindi per quanto abbiano dei limiti, noi stiamo imparando che capendo quei limiti, quelle distorsioni, i ritardi con cui arrivano, i fattori di sottostima, capiamo qualcosa su come sta evolvendo la situazione reale, a partire dai dati dalla Protezione Civile. Loro non hanno colpa, fanno un lavoro di raccolta e messa a disposizione che penso sia lodevole, solo che la situazione in alcune zone è molto molto critica. Forse potrebbero essere aiutati un po' di più da istituti tipo l'ISTAT, questo sì. Nel senso che io mi sarei aspettato ci fosse un responsabile dell'ISTAT, che magari li spiegava anche. Non è quello il compito della Protezione Civile, ognuno deve fare il proprio lavoro. Loro fanno quello di coordinamento, raccolgono i dati. Poi se insieme a loro ci fosse stato uno che di mestiere analizza i dati e li racconta alla popolazione sarebbe stato il benvenuto. Non dico di no.

A tal proposito il lavoro che sta facendo lei è molto prezioso

A me fa anche piacere, sono abituato a lavorare con i dati da sempre, però lo faccio perché nessun altro lo faceva. Quando ho iniziato a postare su Facebook la gente si è molto interessata e quindi non mi tiro indietro. Ma se domani arrivasse qualcuno che lo facesse in veste ufficiale, pagato dallo Stato italiano perché quello è il suo lavoro, io mi tirerei indietro. Però non lo vedo. C'è ancora molta poca chiarezza nel comunicare che cosa vogliono dire questi dati. E io penso che la gente vada correttamente informata. Non ingannata dalle troppe buone notizie, né con troppe cattive notizie. Va informata correttamente, con tutti i limiti della scienza. Se uno fa questo lavoro con onestà, la gente lo apprezza.

Per quanto riguarda i decessi, in Italia al momento se ne registrano 10mila. Lei per caso ha fatto un calcolo su quelli che potremmo aspettarci alla fine dell'emergenza?

Questa è una di quelle cose che preferirei non dire. Se lo devo dire oggi, lo devo fare con un modello che appunto spero migliori. Oggi sulla base del modello che ho vengono dei numeri abbastanza elevati. E non glieli dico, non è cattiveria. La mia speranza è che possano cambiare molto. Perché i numeri dei decessi dipendono soprattutto dalle zone più colpite. La speranza è che il numero dei decessi nei prossimi giorni possa ridursi molto. In qualche maniera si sta esaurendo quel bacino di persone che sono le più suscettibili di andare incontro alla morte a causa di questo virus. Io l'ho visto con i dati di Nembro, gli unici che ho a disposizione. Lì sono morte moltissime persone. Quando uno legge i dati lì per lì non ci si pensa, ma come ci si ferma un attimo viene proprio il groppo alla gola.

La curva che ha pubblicato in effetti è impressionante

È impressionante per quanti sono, sì. Però se ha visto la curva, in pochi giorni si è esaurita. Questa è un'altra cosa che stanno studiando. Sembra che non ci sia stato nemmeno il tempo per incubare e passare alla seguente generazione. Molto probabilmente ci sono stati alcuni “super spreaders” o “super diffusori”, ovvero persone in contatto con una percentuale notevole della popolazione, che hanno infettato quasi tutti contemporaneamente. E a quel punto i decessi sono avvenuti quasi tutti contemporaneamente, a pochi giorni di distanza. Ci sono del resto case di cura, case di riposo che sono i punti più delicati del nostro sistema sociale in questo momento, dal punto di vista dell'attacco epidemiologico. Il grosso dei decessi potrebbe arrivare in archi di tempo abbastanza ristretti. Che poi cambiano da zona a zona. Una zona è stata colpita prima, una dopo. Però potrebbero non protrarsi troppo nel tempo. Questo potrebbe fare la differenza, su quello che avverrà nelle prossime settimane. Se noi in alcune zone, come quelle del Centro-Sud, siamo riusciti a bloccare la diffusione massiva dell'epidemia prima che colpisse tutti questi “punti deboli”, come le case di riposo e gli ospedali, che sono diventati dei punti in cui si è diffuso spesso il virus, e riusciamo a tenere il numero di decessi molto basso, e nel frattempo le zone più colpite esauriscono i decessi per il motivo che le persone più suscettibili ad andare incontro alla morte sono state già infettate, o ne sono uscite o sono effettivamente decedute, il tutto potrebbe rallentare molto di più di quanto oggi prevederebbe dal modello.

Perché il modello in qualche modo è stato basato sui dati di Wuhan, e lì vi era una sorta di omogeneità. Tutta la città si comportava in un unico modo. In Italia abbiamo invece zone molto diverse. Abbiamo le zone rosse che ad esempio si stanno comportando molto diversamente. Quindi, la mia speranza è che al momento il nostro modello sbagli, che dia dei numeri troppo grandi, e che nei prossimi giorni avremo un rallentamento. Ovviamente essendo arrivati oggi a 10mila decessi, è facile che arriveremo a 20mila. Con questo diciamo che purtroppo dobbiamo saperci convivere. Però oltre questo non mi azzarderei a fare previsioni. Il comportamento differenziato delle varie zone d'Italia potrebbe produrre dei risultati non dico inattesi, io me li aspetto, ma positivi.

Secondo lei gli italiani si stanno comportando “bene” da quello che ha osservato dai dati?

Secondo me gli italiani si stanno comportando abbastanza bene, però non c'è stata una buona comunicazione. Sulla base della mia esperienza personale e di racconti che raccolgo dalle persone che condividono con me le loro esperienze quotidiane, stanno tutti abbastanza chiusi dentro casa. Ma quando escono, ad esempio per fare la spesa, io vedo pochissimo le mascherine. Questa cosa non è un errore degli italiani. È stato un errore di comunicazione. Ci è stato detto all'inizio che non servono. Io ho visto una cosa dai dati: i Paesi in cui si è abituati a usare la mascherina, come il Giappone, Hong Kong, Taiwan e anche la Cina stessa, che avrebbe potuto avere numeri ben superiori, hanno reagito alla diffusione del virus in modo molto migliore di quelli occidentali, dove non c'è abitudine ad usarla. Nei Paesi del Sud Est Asiatico e dell'Asia Orientale è proprio un'abitudine usarla in luoghi pubblici molto affollati, appena una ha un po' di tosse, per correttezza nei confronti degli altri la indossa. Questa cosa secondo me ha funzionato molto bene nella riduzione della diffusione.

In Italia questa cosa purtroppo non è stata comunicata bene. Se fosse stata comunicata bene la gente secondo me si sarebbe adoperata. Uno dei motivi per cui potrebbero non averlo fatto è il fatto che le mascherine servivano agli operatori sanitari, anche perché non ne avevamo fatto una scorta. Se lo avessero detto la gente se le sarebbe accaparrate magari al mercato nero, e le mascherine sarebbero state più scarse per chi ne aveva realmente bisogno. Però per lo scopo dell'utilizzo di una mascherina, ovvero evitare che la saliva della persona si espanda nell'ambiente e contagi gli altri, ne basta veramente anche una fatta in casa con del cotone, ma anche un foulard sulla faccia. Secondo me su quell'aspetto si sarebbe potuto organizzare meglio la comunicazione. Le mascherine devono essere lasciate ai sanitari, perché lottano in prima linea e ne hanno bisogno, rischiano di infettarsi e infettare gli altri, loro dunque devono essere la priorità. Però per chi può farsi una mascherina fatta in casa col cotone, meglio quella che niente.

Diciamo che questa idea del dire che non servono è stato un errore. Continuano a dire che ci sono dei rischi, però non c'è nessuna evidenza scientifica. Ieri è uscito un articolo su Science in cui il responsabile del Dipartimento epidemiologico cinese che ha seguito e sconfitto l'epidemia, ha detto che il più grande errore dei Paesi occidentali è che non stanno facendo indossare le mascherine alla popolazione. C'è chi dice “se indossate male e simili”..ora, un po' di buon senso, per quanto io possa mettere bene o male la mascherina a casa, ma se quando sto al supermercato invece di sputacchiare la mia saliva ovunque, rimane appiccicata al mio foulard, alla mia bandana, a una qualunque cosa, il mio buon senso e soprattutto la mia coscienza dice “mettitela”. Quando vado a fare la spesa, mi metto qualsiasi cosa. Quanto può essere pericoloso questo? A me i grandi esperti non l'hanno ancora spiegato. Questa cosa ovviamente deve essere organizzata bene, perché una cattiva comunicazione qui può diventare deleteria. Perché la gente può andare ad accaparrarsi le mascherine negli ospedali e quindi una comunicazione fatta male può essere controproducente.

Secondo me non ci si è impegnati più di tanto. Se la cosa è contrastata anche tra gli esperti, che dovrebbero dare un messaggio chiaro, è chiaro che la popolazione entra in confusione. È un errore decisionale e di comunicazione. Io riesco a spiegarti perché se non vengono usate la mascherine fai danni: la saliva quando esce arriva tipicamente a 1,5 metri di distanza, e secondo me dentro un supermercato le persone stanno a meno di un metro e mezzo di distanza, per quanto si entri scaglionati, quindi le cose che prendono possono essere infettate. Anche le buste di plastica, se qualcuno ci ha alitato sopra, sulla plastica il virus dura 72 ore – che è tanto -, io il virus me lo sto portando a casa. Ho degli argomenti a favore, quelli che sono contrari dicono: “l'OMS non lo raccomanda”. Dall'idrodinamica sappiamo che le particelle sotto i 10 micron cascano per terra, quelle sopra i 10 micron sono invece quelle che fanno aerosol e vanno fino a 6 metri: allora vogliamo fermarle con una bella sciarpetta? A me sembra ragionevole. Ancora non mi hanno convinto, sinceramente, sull'uso delle mascherine. E sul fatto che si rischia di usarle male, basta fare dei videotutorial, non è che siamo scemi. Se voi ci insegnate a usarle bene, noi le usiamo bene. Sono sempre pronto a ricredermi se qualcuno mi proporrà un argomento migliore.

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