“Il coronavirus è colpa nostra, non una vendetta della natura”: l’accusa dello scienziato Lovejoy
Sulla base della mappa interattiva messa a punto dai ricercatori dell'università americana Johns Hopkins, nel momento in cui stiamo scrivendo nel mondo si registrano quasi 3 milioni di contagiati da COVID-19, l'infezione scatenata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, mentre i decessi sono quasi 207mila (26.644 dei quali soltanto in Italia). La diffusione della pandemia sta infliggendo all'umanità intera costi sociali ed economici senza precedenti, e a scatenarla, secondo la stragrande maggioranza degli scienziati, è stato il salto di specie da animale a uomo (il cosiddetto spillover) di un patogeno che circolava inizialmente nei pipistrelli, e che potrebbe essere passato a noi direttamente da questi animali oppure attraverso un serbatoio intermedio, tra i quali viene ritenuto come più probabile il pangolino.
A causa di questo processo alcuni potrebbero ipotizzare che gli animali selvatici abbiano una qualche colpa – qualche scellerato ha anche ipotizzato di ammazzare tutti i pipistrelli -, tuttavia l'unico responsabile di questa situazione è l'essere umano. Tra gli scienziati che puntano il dito contro il nostro modo di depredare, invadere e distruggere il patrimonio naturale vi è il celebre studioso Thomas Lovejoy, docente di Scienze ambientali presso l'Università George Mason, membro dell'ONU e “padre” del termine diversità biologica, coniato negli anni '80 del secolo scorso. Per questo motivo viene considerato il “padrino” della biodiversità. Lovejoy, intervenuto a una conferenza del Center for American Progress, si è scagliato soprattutto contro i cosiddetti mercati umidi, come quello di Wuhan dove si ritiene si sia verificato lo spillover alla fine dello scorso anno. In questi luoghi gli animali selvatici vengono tenuti in casse luride, ammassate l'una sull'altra, dove sangue, pus, feci e altri fluidi corporei si mescolano di continuo contaminando l'ambiente. È così che i virus passano da un animale all'altro, fino a quando non "trovano" la mutazione giusta (casuale) in grado di far infettare anche l'uomo.
“Questa pandemia è la conseguenza della nostra persistente ed eccessiva intrusione nella natura e del vasto commercio illegale di animali selvatici, e in particolar modo i mercati della fauna selvatica, i mercati umidi dell'Asia meridionale e i mercati della “bushmeat” in Africa”, ha dichiarato Lovejoy. “È abbastanza ovvio – ha aggiunto lo studioso -, era solo una questione di tempo prima che sarebbe successo qualcosa del genere”, come del resto ipotizzato nel libro profetico di David Quanmen “Spillover”, o dal magnate Bill Gates, in prima linea nella ricerca di un vaccino sicuro ed efficace con la sua fondazione.
Lovejoy, intervistato dal Guardian, ha affermato che si dovrebbe fare molto di più per combattere il commercio illegale della fauna selvatica (molta della quale finisce proprio nei mercati umidi legali), inoltre dovrebbe essere fatto il possibile per separare la fauna selvatica dagli animali domestici, dato che in questo modo si potrebbe ridurre in modo significativo il rischio di future di pandemie. Lovejoy spiega che chiudere questi mercati sarebbe la soluzione ideale, ma ciò porterebbe all'apertura di mercati neri impossibili da controllare, con rischi per la fauna selvatica ancora maggiori. Lo studioso ha dichiarato che gli effetti catastrofici della pandemia che stiamo vivendo non sono una vendetta della natura, ma il risultato delle nostre azioni. “La soluzione è quella di avere un approccio molto più rispettoso verso la natura, che include la gestione dei cambiamenti climatici e tutto il resto”, ha concluso lo scienziato.
Poiché ci sono centinaia di milioni di persone nel mondo che si sostentano attraverso questi mercati umidi, moltissime delle quali vulnerabili, non tutti gli scienziati sono concordi col chiuderli in modo indiscriminato. “I divieti e le restrizioni indiscriminati rischiano di essere iniqui e inefficaci”, hanno scritto 250 studiosi all'Organizzazione mondiale della sanità e al Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente. Anche alcune popolazioni indigene che sopravvivono con la carne di animali selvatici si sentono minacciate dalla possibile chiusura di queste attività, che restano tuttavia tra le principali fonti di rischio per nuove pandemie.