Il 2020 chiude il quinquennio più caldo della storia: il lockdown non frena i cambiamenti climatici
Il 2020 passerà alla storia per essere stato l'anno in cui la pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 ha sconvolto la vita a miliardi di persone, ma porterà sulle spalle un altro, pesante fardello. Sta infatti per chiudere il quinquennio più caldo della storia, a causa dei cambiamenti climatici che rischiano di avere un impatto ben più catastrofici della diffusione del patogeno emerso in Cina. Non a caso un team di ricerca composto da 11mila scienziati di oltre 150 Paesi ha sottoscritto un documento nel quale viene sottolineato che a causa dell'emergenza climatica, l'umanità andrà incontro a "indicibili sofferenze" nel prossimo futuro. Per alcuni ricercatori la civiltà come la conosciamo oggi potrebbe andar perduta nel giro di soli 30 anni.
A determinare che il quinquennio 2016-2020 sarà il più caldo della storia (tecnicamente non si è ancora concluso) è stato un team di ricerca dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), che sotto la direzione del Segretario generale delle Nazioni Unite ha stilato un nuovo rapporto – chiamato United in Science 2020 – con la collaborazione di diverse altre agenzie specializzate nel monitoraggio dei cambiamenti climatici, come il Global Carbon Project (GCP), la Commissione oceanografica intergovernativa dell'UNESCO (UNESCO-IOC) e altri ancora. Dall'analisi dei dati è stato determinato che per il suddetto quinquennio la temperatura media risulterà essere superiore di 1,1° Celsius rispetto a quella dell'epoca preindustriale. Come è noto dall'Accordo di Parigi sul Clima sottoscritto nel 2015, l'obiettivo è quello di contenere l'aumento delle temperature medie entro i 2° Celsius, benché il target più virtuoso (oltre che efficace) sia quello di 1,5° C.
Per raggiungerlo è necessario abbattere le emissioni di anidride carbonica del 7 percento ogni anno, ma come mostrano i dati il rilascio del gas a effetto serra continua a salire inesorabilmente anno dopo anno. Solo nel 2020 sono stati registrati cali positivi nelle emissioni di CO2, ma solo perché il mondo intero sta vivendo una pandemia che ha obbligato i Paesi a bloccare le attività con stringenti lockdown. Dove le attività sono riprese, le emissioni hanno raggiunto più o meno la stessa soglia del 2019, con una differenza del 5 percento circa, come specificato in un comunicato stampa da António Guterres, il Segretario generale delle Nazioni Unite. Ciò, naturalmente, ha dato un contributo minimo alla riduzione del riscaldamento globale.
In base al rapporto della WMO, si stima che tra quest'anno e il 2024 vi sia una probabilità di circa il 25 percento che almeno in un anno venga superata la fatidica soglia di 1,5° C. Si ritiene che gli ecosistemi, già messi a dura prova, superato quel “traguardo” andranno incontro a drastici cambiamenti, con effetti catastrofici sulla flora, sulla fauna e dunque anche sull'uomo, dato che saranno coinvolte moltissime specie di interesse commerciale. Entro il 2100 si stima inoltre che l'aumento delle temperature medie possa arrivare a +3° Celsius, con esiti ancor più drammatici.
Al di là dei fenomeni meteorologici sempre più devastanti – come uragani, alluvioni e ondate di calore – e la diffusione di malattie, il rischio maggiore è rappresentato dall'innalzamento del livello del mare a causa dello scioglimento dei ghiacciai, che potrebbe far finire sott'acqua intere regioni costiere, metropoli e isole, in particolar modo quelle dell'Oceano Pacifico. Milioni di persone saranno costrette a spostarsi, e la riduzione delle risorse idriche e alimentari a causa della siccità potrebbe far innescare guerre globali dall'esito catastrofico per l'intera umanità.