I pazienti con sintomi lievi da coronavirus possono sviluppare la sindrome da fatica cronica
La COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, è una nuova e poliedrica malattia che medici e scienziati di tutto il mondo stanno ancora studiando alacremente. Le conseguenze sull'organismo, del resto, non sono ancora pienamente comprese, in particolar modo quelle a lungo termine. Non è insolito che dopo una grave infezione virale e /o dopo essere stati trattati in un reparto di terapia intensiva possano volerci mesi per un completo recupero, tuttavia, nel caso della COVID-19, parte dei pazienti pur avendo avuto sintomi lievi al culmine dell'infezione ha sperimentato problemi di salute per diverse settimane.
A sottolinearlo in un articolo pubblicato su The Conversation è il professor Frances William, docente di epidemiologia genomica e di reumatologia presso il King's College di Londra. Nello specifico, lo scienziato britannico ha affermato che circa il 10 percento dei 3,9 milioni di utenti che hanno scaricato l'applicazione per la ricerca “COVID Symptom Study” dichiara di aver sperimentato sintomi per più di quattro settimane consecutive, dopo il contagio. Fra quelli citati da William vi sono uno stato di persistente stanchezza, palpitazioni, dolori muscolari, formicolii e molti altri ancora. Emblematico il caso di un medico inglese: “A metà marzo ho sviluppato la COVID-19. Per quasi sette settimane ho attraversato un ottovolante tra salute precaria, emozioni estreme e sfinimento totale. Sebbene non fui ricoverato in ospedale, è stato spaventoso e lungo. La malattia continua a fluire, ma sembra non scomparire mai”, ha dichiarato al The British Medical Journal il professor Paul Garner, docente di malattie infettive presso la School of Tropical Medicine di Liverpool.
Secondo il professor William la COVID-19 determina una condizione chiamata Sindrome da fatica cronica; essa è caratterizzata principalmente da un'estrema debolezza (non solo fisica, ma anche emotiva e mentale) che può emergere per diverse ragioni, ma in alcuni casi l'origine resta ignota. Recentemente ha anche colpito il campione di motociclismo Casey Stoner. Lo scienziato spiega che nel caso della COVID-19 la sindrome da fatica cronica potrebbe comparire a causa di una “risposta immunitaria prolungata e inappropriata dopo aver eliminato l'infezione”. Del resto una delle complicanze più pericolose della patologia è la cosiddetta “tempesta di citochine”, una risposta esagerata del sistema immunitario che può essere più pericolosa del virus stesso, dato che è in grado di provocare danni irreversibili agli organi e morte. L'Università di Newcastle ha dimostrato che nei pazienti con sindrome da fatica cronica (o encefalomielite mialgica ) le cellule immunitarie dei pazienti producono il 50% di energia in meno di quelle dei soggetti sani, un altro aspetto da verificare nei pazienti contagiati dal coronavirus.
Il professor William sottolinea che le persone che hanno combattuto con la COVID-19 hanno avuto “più di una semplice infezione virale”. “La loro malattia – specifica l'esperto – si è verificata durante un cambiamento sociale senza precedenti, quando sono state imposte restrizioni agli spostamenti e in un momento di grande ansia e rischi difficili da quantificare, il tutto accompagnato da notizie continue 24 ore su 24”. Molti dei pazienti colpiti hanno pensato di morire o sono stati vicini alla morte, dunque andranno analizzati a fondo anche gli effetti dello stress post-traumatico. Per gli psicologi italiani un'ondata di stress di questo tipo potrebbe essere uno dei conti più salati da pagare a causa della pandemia, che ha segnato profondamente moltissime persone anche dal punto di vista psicologico ed economico. La sindrome da fatica cronica in un contesto del genere va dunque studiata attentamente, anche se non rientrando nelle competenze di una singola specialità medica, spiega William, spesso la preparazione al riguardo non è delle migliori.