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Covid 19

Hai fatto il vaccino Covid ma non hai avuto effetti collaterali? Non significa che non sei protetto

Dopo la somministrazione del vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2 (e altri vaccini) in molti sviluppano effetti collaterali lievi e transitori come febbre, dolore al sito dell’iniezione e mal di testa, una normalissima risposta dal sistema immunitario. Chi non li sviluppa, tuttavia, non deve sentirsi meno “protetto” dalla COVID-19. Ecco perché.
A cura di Andrea Centini
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Dopo aver ricevuto un qualunque vaccino è perfettamente normale sviluppare sintomi come febbre, dolore/gonfiore al sito dell'iniezione, mal di testa, brividi, dolori muscolari (mialgia) e altri effetti collaterali lievi che durano generalmente uno o due giorni. Come sottolineato dagli esperti, infatti, si tratta di reazioni ampiamente attese che dimostrano che il nostro sistema immunitario sta rispondendo all'antigene e che il farmaco sta funzionando egregiamente. Ma non tutti i vaccinati sperimentano questi effetti collaterali e, poiché sono legati a una risposta immunitaria, in molti di coloro che stanno ricevendo le dosi contro il coronavirus SARS-CoV-2 e che non sviluppano tali sintomi si stanno chiedendo se risultino protetti o meno dalla COVID-19. La risposta è sì. A spiegarne la ragione è la professoressa Veenu Manoharan, docente di Immunologia presso l'Università Metropolitana di Cardiff (Regno Unito).

La scienziata ha pubblicato un articolo sulla rivista scientifica The Conversation spiegando come funziona il nostro sistema immunitario e perché non tutti rispondano alla vaccinazione con effetti collaterali. Innanzitutto l'esperta ha citato i risultati degli studi clinici dei due vaccini anti Covid a mRNA (RNA messaggero) già approvati per l'uso di emergenza: il BNT162b2/Tozinameran (nome commerciale Comirnaty) sviluppato dal colosso farmaceutico Pfizer in stretta con la società di biotecnologie tedesca BioNTech e l'mRNA-1273 (o CX-024414) messo a punto da Moderna Inc e National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID). Per il primo farmaco, gli effetti collaterali sono stati sperimentati nel 50 percento dei partecipanti, ma il 90 percento ha comunque sviluppato l'immunità; per il secondo vaccino, invece, gli effetti collaterali verrebbero segnalati da una persona su dieci (10 percento), ma il 95 percento dei partecipanti ai trial ha sviluppato l'immunità. Dunque, perché alcuni sperimentano sintomi e altri no, ma quasi tutti ottengono l'immunizzazione contro il coronavirus SARS-CoV-2?

La professoressa Manoharan ha spiegato che la maggior parte dei vaccini anti COVID punta a colpire la proteina S o Spike, il “grimaldello biologico” che il patogeno sfrutta per agganciarsi alle cellule umane (tramite il recettore ACE-2), inserire l'RNA virale e avviare il processo di replicazione che innesca l'infezione. Quando la proteina S (l'antigene) è presente nel nostro organismo attiva la risposta immunitaria. La prima a intervenire è la risposta innata, che attacca la proteina nemica e determina l'infiammazione, i cui segni distintivi, spiega la scienziata britannica, sono proprio la febbre e il dolore. È dunque questa risposta innata a scatenare gli effetti collaterali tipici delle vaccinazioni, nell'arco di 24-48 ore dall'inoculazione. Questo è tuttavia solo il primo “ramo” della risposta immunitaria; il secondo, quello che determina la protezione di lunga durata e chiamato risposta adattativa, si attiva col supporto delle componenti della risposta innata e “si traduce nella generazione di cellule T e anticorpi , che proteggono dalle infezioni alla successiva esposizione al virus”.

Come sottolineato dalla professoressa Manoharan, la risposta adattativa non induce infiammazione, ma può contribuire ad essa. In alcune persone l'infiammazione immunitaria scatenata dalla combinazione tra risposta innata e adattativa è “esagerata”, dunque si manifesta con gli effetti collaterali. Ciò non si verifica in chiunque. Nonostante questa sostanziale differenza, dopo l'inoculazione dei vaccini la stragrande maggioranza delle persone sviluppa comunque l'immunità contro l'antigene. La scienziata specifica che gli effetti collaterali sono meno diffusi tra gli anziani e più forti tra i giovani, in particolar modo se donne, che hanno un sistema immunitario più reattivo. Gli uomini, inoltre, hanno concentrazioni maggiori di testosterone che “tende a smorzare l'infiammazione”, spiega la professoressa Manoharan. Anche chi soffre di malattie infiammatorie croniche (come l'artrite reumatoide) o assume farmaci immunosoppressori può sperimentare meno effetti collaterali dopo la somministrazione del vaccino. Ma nonostante la minor produzione di anticorpi o una risposta infiammatoria meno intensa, comunque larga parte delle persone raggiunge l'agognata immunità contro la COVID-19.

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