Giornata Mondiale per l’Ambiente, guardare al futuro per correggere il passato
Festeggiamento o commemorazione? Il dubbio è più fondato che mai in occasione dell'appuntamento annuale con la Giornata Mondiale dell'ambiente: ricorrenza particolare, quest'anno, poiché giunta alla quarantesima edizione. Obbligatorio dunque chiedersi: a che punto siamo? Stiamo riuscendo nell'obiettivo posto da questa celebrazione istituita nel 1972 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, oppure siamo ancora lontanissimi dal traguardo? Come procede il nostro “piano di salvataggio” per il Pianeta e come stiamo contribuendo ad esso, non solo a livello istituzionale ma anche come cittadini ed individui?
Il bisogno di tirare le fila del discorso è quanto mai urgente, con la Terra che sembra destinata ad esaurire più rapidamente del prevedile le proprie riserve e la difficoltà (o l'assenza di volontà) per l'essere umano di imparare realmente a convivere con i propri limiti oggettivi. Per tale ragione il tema per l'edizione 2012 sarà Green Economy, Does it include you?: perché l'argomento dello sviluppo ecosostenibile è inevitabilmente destinato ad uscire dalla soffocante e limitante area di “discorso da radical chic” per diventare sempre più l'unica alternativa possibile di crescita per i Paesi occidentali, stretti da una crisi finanziaria che costringerà a ripensare e riorganizzare i propri modelli di riferimento. Proprio perché è indispensabile «lasciarsi alle spalle il mito che economia e benessere ambientale sono in contraddizione», come ha ricordato Ban Ki-Moon in occasione del World Environment Day, la sorte della barriera corallina assume oggi il valore simbolico di una società "civilizzata" che, a tutti i costi, deve modificare la rotta lungo la quale ha costruito, fino ad oggi, i propri successi.
L'allarme lanciato dall'UNESCO
Proprio da quell'Australia sovente additata come ultimo baluardo degli ambientalisti, dove recentemente è stato sollevata la questione dei koala e della necessità di proteggere questa specie amatissima, giunge l'allarmante appello dell'UNESCO: lo sviluppo a ridosso dell'area nordorientale del Paese, nello Stato del Queensland, ne sta seriamente mettendo in pericolo la grande barriera corallina, laddove un futuro parco marino di 230 000 chilometri quadrati, incluso nella lista dei patrimoni dell'umanità, dovrebbe proteggere un tesoro di biodiversità tra i più preziosi del Pianeta. Decine di domande di grandi piani di sviluppo, sui quali spetterà a Governo federale ed istituzioni pronunciarsi, sono in attesa di risposta, guardate con seria apprensione da parte di associazioni di tutto il mondo, mentre l'agenzia delle Nazioni Unite teme di essere costretta a riclassificare il sito.
La gran parte delle preoccupazioni riguardano l'espansione dell'esportazione carbonifera che, nel giro di un decennio e seguendo le tendenze annunciate negli ultimi mesi, potrebbe addirittura quintuplicare, con disastrosi effetti visibili soprattutto nell'incremento del traffico delle navi. E dal Premier conservatore dello Stato australiano Campbell Newman giunge la dichiarazione dell'impegno a proteggere l'ambiente, purché questo non significhi ostacolo allo sviluppo economico: a testimonianza di un approccio ancora molto lontano da quanto auspicato dal Segretario generale ONU. Nel frattempo, gli occhi sono puntati sul vertice di Rio che si terrà tra poche settimane e a cui spetterebbe l'ingrato compito di ridisegnare le linee della crescita sostenibile, ammettendo come i precedenti propositi siano andati incontro a tanti (o forse troppi) fallimenti "fuori programma", costringendo la stessa segretaria esecutiva dell'UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) Christiana Figueres a riconoscere che «i negoziati sul clima procedono ad un ritmo inaccettabile».
Quale destino per le trivellazioni?
Bene ricordare in questa occasione, sia essa realmente una festa o il requiem per un ambiente sempre più sovrasfruttato e condannato alla progressiva miseria, come anche il nostro Paese viva sottoposto a pericoli, rischi e minacce che ne stanno impoverendo il patrimonio naturalistico a cominciare dai suoi fragili litorali. Allo studio del Governo italiano in questi giorni, nell'ambito del decreto sugli incentivi e sul rilancio delle infrastrutture, ci sarebbe una riduzione del limite per le perforazioni petrolifere offshore dalle attuali 12 miglia di distanza dalla costa a 5 miglia. Nel 2010 il disastro del Golfo del Messico convinse l'allora Governo Berlusconi a bloccare le trivellazioni, oggi l'Italia si trova dinanzi ad un problema che sembra destinato a destare molti dubbi e molte preoccupazioni: a soli due anni dal tragico sversamento massivo nelle acque che a tutt'oggi continua a seminare distruzione nelle aree colpite dall'incidente della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, quel ricordo sembra aver esaurito il proprio potenziale di monito. Senza dubbio è ancora troppo presto per conoscere quali saranno gli sviluppi della questione italiana, considerando anche la comprensibile opposizione che potrebbe provenire dal Ministero dell'Ambiente: il solo dato certo sono i danni che ne potrebbero derivare, in termini di immagine e turismo, prima ancora che ambientali. Del resto, riflettendo nella direzione suggeritaci dalla Giornata Mondiale dell'Ambiente e considerando come il picco del petrolio sembri essere già stato superato, un pensiero deve necessariamente andare alle strade alternative al combustibile fossile, come ci racconta questo video realizzato dal Post Carbon Institute.