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Covid 19

Cos’è l’indice di contagio Rt: il calcolo e le differenze con R0

Per descrivere la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva gli epidemiologi utilizzano un parametro chiamato Rt, che significa il numero medio di persone che un positivo riesce a contagiare. L’indice di trasmissibilità Rt si riferisce a uno specifico arco temporale, ed è condizionato dalle misure messe sul campo per spezzare la catena dei contagi. Ecco perché è così importante nel contesto del nuovo DPCM e qual è la differenza con l’indice R0.
A cura di Andrea Centini
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Da quando il coronavirus SARS-CoV-2 ha iniziato a diffondersi nel mondo, tutti noi siamo entrati in contatto con i termini tecnici utilizzati dagli epidemiologi per descrivere e monitorare l'andamento della pandemia, barcamenandoci tra grafici e concetti talvolta non intuitivi, perlomeno per chi non ha dimestichezza con le materie scientifiche, tra scale logaritmiche, crescite esponenziali, tempi di raddoppio e via discorrendo. Due dei parametri epidemiologici dei quali si è discusso (e si discute tuttora) di più in assoluto sono gli indici di trasmissibilità R0 (Erre con zero) ed Rt (Erre con t), che in parole semplici mostrano il numero medio persone che può infettare un positivo. In Italia, al momento, l'indice Rt – che ha preso il posto di R0 – è superiore a 1. Qual è la differenza tra i due parametri? E perché hanno un significato talmente rilevante da influenzare le misure anti contagio?

La differenza tra Rt e R0

L'Rt, ad esempio, in Italia in questo momento sta concorrendo assieme ad altri fattori alla determinazione del “colore” di una regione, giallo, arancione o rosso, associato allo stato di rischio. Ma procediamo con ordine e partiamo dall'R0. Si tratta del cosiddetto numero di riproduzione di base di una malattia infettiva, e ne rispecchia la potenziale trasmissibilità. In parole semplici, rappresenta il numero medio di persone che un singolo infetto riesce a contagiare, in seno a una popolazione non vaccinata/non immunizzata nella quale la malattia è emergente e non controllata. Per fare un esempio, se R0 è pari a 3, significa che un positivo infetta in media tre persone. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ritiene che l'R0 della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, sia collocato tra 2 e 3. Il fattore R0 viene utilizzato dagli epidemiologi all'inizio di una nuova epidemia/pandemia, ma ben presto viene sostituito dall'Rt, come avvenuto in quella che stiamo vivendo. Quest'ultimo è il numero di riproduzione netto, e pur avendo il medesimo significato di fondo (rispecchia il numero di persone che mediamente vengono infettate da un positivo) esso si riferisce a uno specifico arco temporale. In pratica, l' Rt è variabile nel tempo e non fisso, e soprattutto risponde alle misure messe (o non messe) in campo per spezzare la catena dei contagi. Sia di tipo farmacologico – come un potenziale vaccino – che non, alla stregua del lockdown. L'Rt può essere calcolato su base giornaliera, settimanale – come avviene normalmente in Italia -, mensile e via discorrendo. La t è la variabile che indica l'andamento della diffusione in uno specifico momento. “R0 rappresenta il numero, in media, di casi secondari di un caso indice mentre l’Rt è la misura della potenziale trasmissibilità della malattia legata alla situazione contingente, cioè la misura di ciò che succede nel contesto”, ha spiegato a fanpage il virologo Fabrizio Pregliasco.

Come si calcola l'Rt

Innanzitutto va sottolineato che la soglia di attenzione per l'Rt scatta quando il valore risulta superiore a 1. Ciò significa che ciascun positivo infetta in media più di un'altra persona. Nel momento in cui stiamo scrivendo, l'Rt per l'Italia è pari a circa 1,5, un valore che evidenzia la difficoltà nel tracciamento dei contatti (praticamente saltato in diversi contesti) e si traduce in una notevole circolazione del coronavirus, come del resto si evince dai bollettini della Protezione Civile, con decine di migliaia di nuovi contagiati ogni giorno. Se l'Rt fosse pari a 0,2, significherebbe che per ogni 10 positivi, in media, si registrerebbero altri 2 contagi, dunque l'epidemia sarebbe ampiamente sotto controllo e in via di estinzione. Ne consegue che con un Rt attorno a 2, come quello della Lombardia e del Piemonte, 10 positivi determinano venti nuovi contagi, e questo fa diffondere in maniera rapidissima e incontrollata il virus, con tutto ciò che ne deriva in termini di rischi (la pressione sul sistema sanitario), il numero di vittime e così via. L'Rt, come sottolineato dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS) in una pagina ad hoc, si calcola attraverso complessi algoritmi statistici sulla base dei casi sintomatici rilevati, poiché considerati “stabili” a differenza degli asintomatici. Molte persone ad esempio non sanno di essere state contagiate, e non rientrando negli screening/statistiche ufficiali non influenzano gli indici epidemiologici, a differenza dei positivi accertati. Inoltre, spiega l'ISS, “l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. Ad esempio, la capacità di fare screening può aumentare significativamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Il risultato è che un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici trovati non dipende dalla trasmissibilità del virus ma dal numero di analisi effettuate”. Ciò mette in evidenza i limiti dell'inclusione delle infezioni asintomatiche nel calcolo di Rt. Il calcolo effettivo di Rt – sottolinea l'ISS – è ottenuto "con un metodo statistico consolidato, che stima la distribuzione a posteriori tramite un algoritmo Markov Chain Monte Carlo (MCMC) applicato alla seguente funzione di verosimiglianza:

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Dove, oltre a R(t):

· P(k; λ) è la densità di una distribuzione Poisson, ovvero la probabilità di osservare k eventi se questi avvengono a una frequenza media λ.

· C(t) è il numero di casi sintomatici con data di inizio sintomi al giorno t, con t=1,…,T

· I(t) è il numero di casi sintomatici importati da un’altra regione o dall’estero aventi data inizio sintomi nel giorno t; essendo un sottoinsieme di C(t), si ha che C(t) >= I(t) a ogni t.

· p(T) è la distribuzione del tempo di generazione (una distribuzione gamma con parametri di shape = 1.87 e rate = 0.28, stimata su dati della Regione Lombardia [2]).

Indice Rt e lockdown delle regioni

Alla luce di quanto indicato, il valore di Rt rappresenta un indice chiave che mostra quanto è elevata la situazione di rischio in una specifica comunità, pertanto può condizionare la severità delle restrizioni da introdurre per arginare la diffusione del virus. Ciò nonostante, come specificato dal governo, non è solo l'Rt a determinare se una regione finirà o meno in lockdown (colore rosso), dato che si tiene conto di ben 21 parametri suddivisi in tre diverse categorie: indicatori legati alla diffusione del virus e tenuta dei servizi sanitari; indicatori relativi alla capacità di accertamento diagnostico/gestione dei contatti e indicatori sulla capacità di monitoraggio. Si spazia così dal numero dei casi positivi mensili a quello delle strutture sanitarie, passando per operatori sanitari disponibili ogni tot abitanti, nuovi focolai, percentuali di tamponi positivi, posti letto occupati nei reparti di Terapia Intensiva e via discorrendo, oltre naturalmente al già citato Rt, sulla scorta dei dati della sorveglianza dell'ISS. Tutti questi dati vengono filtrati attraverso algoritmi matematici e permettono di inserire ciascuna delle regioni italiane nelle tre fasce di rischio previste dal nuovo DPCM. I dati prodotti dalle singole regioni, tuttavia, spesso sono parziali, incompleti e in taluni casi si ritiene anche “aggiustati” in qualche modo, pertanto gli algoritmi che fanno finire una regione in una delle fasce di rischio possono essere influenzati da fattori esterni e non sembrare "equi". La Valle D'Aosta, ad esempio, ha avuto difficoltà a raccogliere dati ed è finita in zona rossa, la Calabria ha invece personale sanitario limitato, mentre la Campania è in zona gialla grazie all'Rt basso (1.29). Ricordiamo che ciascuna Regione resta in una specifica fascia di rischio per due settimane, poi in base ai dati può salire o scendere sulla "scala".

Indice Rt nelle regioni italiane

Qui di seguito l'elenco aggiornato al 9 novembre degli indici Rt di Regioni e Province autonome comunicati dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Lombardia: 1.99

Basilicata: 1.73

Piemonte: 1.76

Molise: 1.73

Provincia Autonoma di Bolzano: 1.73

Emilia Romagna: 1.57

Provincia Autonoma di Trento: 1.54

Friuli V.G.: 1.60

Calabria: 1.41

Campania: 1.64

Puglia: 1.56

Veneto: 1.57

Abruzzo: 1.51

Valle d’Aosta: 1.54

Umbria: 1.44

Toscana: 1.4

Liguria: 1.37

Sicilia: 1.28

Lazio: 1.2

Sardegna: 1.14

Marche: 1.01

Indice Rt e "Scenario di tipo 4"

Come si evince dall'elenco soprastante, tutte le regioni hanno un indice Rt superiore a 1 ad eccezione della Basilicata, pertanto in Italia si è superata ovunque la soglia di allerta nella diffusione del coronavirus SARS-CoV-2. A livello complessivo nel nostro Paese ci troviamo ancora nel cosiddetto "scenario di tipo 3", un inquadramento previsto dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS) nel quale la trasmissibilità del patogeno emerso in Cina è considerata diffusa, e che in proiezione può rappresentare un pericolo a medio termine per la tenuta del sistema sanitario. L'Rt in questo scenario è compreso tra 1,2 e 1,5. Diverse regioni sono tuttavia già entrate nel cosiddetto scenario di tipo 4, con circolazione del virus fuori controllo e servizi assistenziali a rischio. Tale scenario si verifica quando i valori di Rt regionali sono sensibilmente superiori a 1,5, con tracciamento dei contatti praticamente saltato e curva dei contagi in rapida ascesa.

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