Cos’è la letalità apparente del coronavirus e perché in Italia è in crescita
In base agli ultimi dati indicati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la COVID-19, l'infezione scatenata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, a livello globale risulta presentare un tasso di mortalità del 3,4 percento. Si tratta di un valore sensibilmente più elevato rispetto al 2 percento circa del quale si discuteva nella prima fase della diffusione della patologia infettiva, e che molto probabilmente continuerà a essere rimodulato man mano che verranno prodotti nuovi dati dai singoli Paesi colpiti dall'epidemia (un centinaio nel momento in cui stiamo scrivendo, benché l'OMS si stia preparando a diramare lo stato di pandemia). Ciò che è certo è che SARS-CoV-2 è un virus unico, con un tasso di mortalità sensibilmente superiore a quello dei virus influenzali (al di sotto dell'1 percento) e inferiore ai coronavirus della SARS (10 percento circa) e MERS (attorno al 30 percento). Un dato particolarmente interessante è quello relativo al tasso di mortalità apparente in Italia, che sembra essere significativamente superiore a quello di altri Paesi e soprattutto in crescita: in base ai freddi numeri, siamo infatti attorno al 5 percento per l'intero Paese, e oltre il 6 percento per la Regione Lombardia, quella più duramente colpita. Come indicato si tratta di letalità apparente e non effettiva, perché non si conosce il numero esatto di contagiati, che potrebbe essere significativamente più elevato di quello noto (9.172 persone, nel momento in cui stiamo scrivendo). Per farci spiegare il significato di queste percentuali abbiamo contattato il professor Fabrizio Pregliasco, virologo presso il Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, Vice Presidente Nazionale dell’A.N.P.A.S. (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e Direttore Sanitario della Casa di Cura Ambrosiana SRL di Cesano Boscone. Ecco cosa ci ha spiegato.
Professor Pregliasco, perché il tasso di mortalità apparente in Italia risulta così alto?
Dipende dalla struttura di età della popolazione, ma anche dalla nostra capacità di definire il denominatore (il numero totale delle persone contagiate dal virus NDR), dunque è molto probabile che il nostro denominatore sia inferiore, più basso di quello reale. I dati si riferiscono solo ai casi confermati, che sono un di cui di quelli che in qualche modo effettivamente ci sono. Non abbiamo contezza di quanti sono i casi per vari motivi, e lo stiamo vedendo anche qui in Lombardia, dove non facciamo tamponi a tutti. I numeri si riferiscono alla quota di complicanze in pazienti impegnativi che hanno in qualche modo intercettato un'assistenza sanitaria di vario grado, e che hanno avuto una conferma. Si sa che in qualsiasi epidemia c'è una sottostima, è fisiologico. Quello che interessa vedere è l'andamento del trend, mantenendo tra l'altro criteri omogenei. Il problema si è visto anche in Cina; quando hanno cambiato il criterio i valori sono sballati. Il tasso di mortalità è un dato che inquieta, che sicuramente mette in evidenza la gravità della malattia come sottolineiamo da sempre. Checché se ne dica, non è un'influenza.
E perché il tasso di mortalità è in crescita? Con il numero di decessi che continua a salire?
Il dato dei morti lo dobbiamo vedere in senso prospettico. Chi è morto ieri, è deceduto dopo un percorso di lunga durata, quindi i due effetti si vedono dilazionati nel tempo. È chiaro che stiamo vedendo una cosa positiva, che non si incrementa tanto la parte che riguarda le terapie intensive. È un fatto relativamente positivo, ma che in realtà potrebbe essere valutato anche in un altro modo, come la saturazione del sistema, quindi uno scenario terribile.
Come aveva spiegato in precedenza a fanpage il professor Pregliasco, l'obiettivo delle misure di contenimento è quello di “ridurre la quota percentuale di contatti”, per abbassare l'R0 di 2.5 della COVID-19, cioè la media di soggetti che un singolo malato può contagiare. In questo modo si evita che fiumi di contagiati si riversino nei nosocomi, dato che il 10 percento dei pazienti richiede terapia intensiva e un'altra quota ventilazione assistita. I posti in terapia intensiva e il personale specializzato sono infatti limitati, e come sta già accadendo negli ospedali lombardi sotto stress si deve decide chi intubare e chi no, dando priorità alla maggiore aspettativa di vita. In tal senso ci sono delle indicazioni specifiche da parte della Siaarti, la Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva, che ha pubblicato un documento di 15 pagine relativo proprio al Triage per l'emergenza coronavirus. La saturazione dei posti letto in terapia intensiva non solo mette a repentaglio la vita dei pazienti colpiti dalla COVID-19, ma anche di tutti coloro che hanno un infarto, un ictus, un grave trauma e altre condizioni gravi e non possono essere assistiti. Ecco perché così importante restare a casa, come specificato nell'ultimo DCPM che ha trasformato l'intera Italia in una “zona protetta”.