Cosa ci dicono le varianti Covid sulle mutazioni future del virus
A quasi un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19, a fare paura sono le varianti del coronavirus Sars-Cov-2, versioni mutate che stanno emergendo in più Paesi, alimentando inevitabili dubbi sulla protezione conferita dai vaccini appena approvati. Ad oggi ci sono alcune prove che indicano che le mutazioni possono influire sulla diffusione del virus, rendendolo più facilmente trasmissibile rispetto al virus originario, come nel caso della variante inglese, denominata B.1.1.7 (e nota anche come 20B / 501Y.V1) e quella sudafricana B.1.351 (20C / 501Y.V2). Altri test suggeriscono che gli attuali i vaccini siano efficaci contro alcune varianti, sebbene gli scienziati hanno abbiano già iniziato ad esplorare come il virus muterà in futuro e quali saranno gli effetti di queste mutazioni.
Cosa ci dicono le varianti del coronavirus
In base a quanto emerso finora, alcune delle mutazioni in circolazione sono state segnalate come varianti di fuga immunitaria, cioè mutazioni associate alla pressione selettiva indotta da fattori che inibiscono l’infezione, come gli anticorpi. Un segnale di adattamento che non sorprende i ricercatori poiché si verifica nella maggior parte dei virus e dei batteri patogeni: anticorpi, trattamenti e vaccini possono far sì che il virus evolva in modo da sfuggire alla loro pressione, così da continuare sopravvivere e trasmettersi da persona a persona.
È il caso di almeno una delle varianti brasiliane che circolano in Amazzonia, dove le versioni mutate del virus sono almeno due e vengono già segnalate le prime reinfezioni. Stesso discorso per la variante inglese che potrebbe essere nata in un paziente a lungo positivo e trattato con plasma iperimmune. Recentemente, inoltre, nuove varianti di Sars-Cov-2 hanno mostrato mutazioni viste anche in versioni che appartengono a ceppi distinti del virus, suggerendo che specifiche evoluzioni si possano presentare in modo indipendente.
L'indizio sulle future mutazioni
Il ripetuto verificarsi delle stesse mutazioni in diverse varianti sta fornendo dunque un indizio importante di ciò che sta accadendo e, in particolare, del fatto che il virus sta affrontando pressioni evolutive simili che lo stanno portando a cambiare in determinate direzioni in diverse parti del mondo. L’accumulo di più mutazioni, d’altro canto, può rendere più difficile per il sistema immunitario riconoscere il virus, una resistenza che unita alla rapida diffusione osservata nelle varianti emergenti può portare a un maggior numero di pazienti che contraggono la malattia due volte.
“Anche una quantità relativamente piccola di varianti di fuga immunitaria” ha spiegato alla BBC Michael Worobey, biologo evoluzionista dell’Università dell’Arizona che recentemente ha identificato una nuova variante nel Sud-Ovest degli Stati Uniti che presenta la delezione H69-V70, una mutazione della proteina Spike ricorrente ed osservata in più varianti, oltre a quella inglese anche nel lignaggio del cluster V che ha infettato milioni di visoni in Danimarca e in altri Paesi.
Sempre negli Usa, anche i ricercatori dell’Illinois hanno recentemente identificato un’altra nuova variante all’interno del ceppo B.1.2, chiamata 20C-US, che presenta una serie di mutazioni specifiche che potrebbero alterare la capacità del virus di replicarsi una volta all’interno delle cellule umane. Un’altra variante, recentemente segnalata in Australia, presenta una mutazione che sembra aver aumentato la capacità del virus di legarsi al recettore cellulare. I ricercatori avvertono che queste nuove mutazioni “potrebbero porre significative preoccupazioni per la salute pubblica in futuro” se continueranno a diffondersi e fornire un vantaggio all’agente patogeno, aggiungendo che il virus sembra “evolversi in modo non casuale e gli ospiti umani danno forma a varianti emergenti che possono facilmente diffondersi nella popolazione”.
Le mutazioni che resistono anticorpi
Mentre si allunga la lista delle varianti del coronavirus Sars-Cov-2, con molte altre che potrebbero essere in circolazione in Paesi dove il sequenziamento genetico necessario per rilevarle non è prontamente disponibile, ci si domanda quali saranno le conseguenze della loro diffusione. “È una delle maggiori sfide cui la comunità scientifica è chiamata a rispondere” ha detto all’Ansa Ettore Capoluongo, membro del gruppo di esperti Expamed (Expert panel on medical devices and in vitro diagnostics) della Commissione Europea, sottolineando che “è indubbio come finora, anche in Italia, gli sforzi destinati all'analisi di sequenziamento del virus SarsCoV2 non abbiano seguito programmi sistematici e strutturati di tracciabilità dell'evoluzione del virus sui campioni biologici analizzati nelle diverse aree del Paese”
Secondo l’esperto “è necessario monitorare le mutazioni nel genoma del virus nella proteina Spike che ha direttamente un ruolo nel legare e infettare la cellula” e in tal senso è al lavoro un gruppo di scienziati cinesi che ha utilizzato virus artificiali per testare le mutazioni nella proteina Spike e verificare quali potrebbero permettere al virus diventare resistente agli anticorpi. Gli studiosi hanno analizzato 80 diverse varianti, selezionando oltre 100 mutazioni e trovandone almeno cinque in grado di sfuggire al riconoscimento degli anticorpi prelevati da pazienti guariti dall’infezione. Una, in particolare, denominata N234Q, ha aumentato notevolmente il livello di resistenza del virus, come indicato nello studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Cell.
Anche se questa mutazione non è ancora presente in alcuna delle varianti di preoccupazione, i risultati di questo studio potrebbero dimostrarsi particolarmente utili per lo sviluppo di nuovi vaccini. “Uno sguardo rivolto al futuro, quando saremo in corsa per armaci contro questo virus, proprio come accade con l’influenza – ha concluso Worobey – . Se il coronavirus mostrerà capacità simili, potrebbe significare che dovremo adottare tattiche simili per tenerlo a bada, aggiornando regolarmente i vaccini”.